Passava per essere “solo” uno dei più grandi autori televisivi, un padre fondatore del cabaret televisivo, Enrico Vaime. Questo, in forza di un curriculum fatto di programmi Rai storici (Quelli della domenica, Tante scuse, Canzonissima), fiction (quando non si chiamava fiction), e musical teatrali assieme al duo stellare Garinei e Giovannini. E tanto, tanto altro, da solo o nella mitica coppia con Italo Terzoli: tanto altro, tra cui oltre trenta libri. In un mondo ideale, Enrico Vaime però non sarebbe individuato in prima battuta come autore televisivo o di cabaret, ma come quello che era veramente: un aforista, del calibro di La Rochefoucauld, Wilde, Kraus. Un pensatore, prima ancora che un intellettuale, genio della garbata ironia per cui bisogna andare a scomodare Woody Allen, Jerome o Twain. Perché Enrico Vaime era uno che saliva sul banco, alla Keating, e ti mostrava il mondo da un’altra angolazione. Inaspettata. Ironica. Malinconica. Enrico Vaime è un ricordo d’infanzia, perché uno dei suoi libri, scritto con Terzoli, che oggi non si trova più è Le favole comiche, edito dalla scomparsa Bietti: come scrisse poi Vaime stesso, una delle Memorie dal bianco e nero, che noi boomer, noi che possiamo averne di queste memorie di realtà  non aumentata. Una folgorazione, le favole comiche, che si aprono con Il lupo buono e sovvertono tutto il sovvertibile, compreso il torero Cordòbes (ma era il toro o il torero?), la rivelazione del potere delle parole, che possono anche essere sorridenti contro ogni previsione, con le quali giocare e di cui sovvertire le regole, ma dopo averle imparate (sull’ignoranza Vaime sospendeva a volte l’ironia, per un attimo: In questo Paese di ignoranti, uno in grado di distinguere un congiuntivo da un condizionale rischia di passare per intellettuale: non è quindi Tutta colpa di Vecchioni (ma anche), se il sottoscritto sta scrivendo queste poche righe di omaggio a Vaime, ma anche di Vaime stesso. Favole a parte, Vaime era poi capace di una sintesi sociologica incommensurabile, tanto che, da buon aforista, rendeva sufficiente anche leggere soltanto il titolo di una sua opera per suggere conoscenza: potete leggere, certamente, Tutti possono arricchire tranne i poveri (potete anche vedere il film con Montesano); ma potete anche soltanto tenerlo lì, vedere il titolo e apprezzare la copertina dalla grafica anni ’70, e sentire che con 6 parole di numero avete ampliato la vostra visione della natura umana e della società dei consumi. Sempre con un angolo della bocca arricciato all’insù, come Vaime stesso nelle sue innumerevoli apparizioni televisive, a cercare di insegnare maieuticamente qualcosa. A partire dall’ironia. Enrico Vaime ha insegnato moltissimo: sulla società, sull’Italia, sull’uomo moderno, sulla televisione, sul teatro, sui tempi comici, sul ribaltamento prospettico, sulla scrittura. Noi, dobbiamo ammetterlo, abbiamo imparato molto poco da lui, quasi nulla: ma a nostra discolpa va detto che Vaime si nasce.

 

Vorrei sapere dove andrò a finire. Se non altro, per prenotare.

Enrico Vaime

Vieri Peroncini per MifacciodiCultura