Dotato dalla natura d’uno spirito perfetto e d’un gusto mirabile e giudicioso nella pittura, quantunque orafo nella sua fanciullezza fosse, sempre al disegno attendendo, venne si pronto e presto è facile, che molti dicono che […] ritraendo […] ogni altra persona che da bottega passava, li faceva subito somigliare

Con queste parole Vasari comincia a narrare la vita di quello che è stato uno dei maggiori innovatori dell’arte. Un vero maestro che rivoluzionò la storia della pittura. Si tratta di Domenico Bigordi, detto il Ghirlandaio (Firenze, 1449 – Firenze, 11 gennaio 1494), disegnatore, pittore e artista, capo di quella che fu la più produttiva e prolifica bottega di Firenze al tempo mediceo.

Risale all’anno scorso il restauro di una delle sue ultime cene affrescate, una delle più diverse dal suo stile in quanto mancante di tutti quei particolari simbolici che, marchio di fabbrica della sua bottega, ne facevano un pittore dotto, letterato e per questo molto apprezzato nella Firenze delle signorie. Siamo nel pieno rinascimento infatti, quando committenti come i De’ Medici, i Tornabuoni, Sassetti richiedono l’opera del maestro, famoso in primis per la sua abilità di disegnatore e ritrattista.

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Particolare del ciclo di affreschi della Cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella, 1485-90

Sonvi espressi molti affetti, che chi li guarda conoscerà senza dubbio questo maestro essere stato in quel tempo eccellente.

Vasari spiega la sua bravura nella resa del carattere tramite sguardi e definizione dei volti dei quali esempio ne sono opere come La strage degli innocenti nel ciclo di affreschi di Santa Maria Novella, dove il dolore delle madri è descritto in ogni dettaglio, con una attenzione particolare ad ogni variabile psicologica. O ancora, lo è la resa del ritratto di Giovanna Tornabuboni, nel suo profilo richiesto dal marito a seguito della sua morte di parto, in cui un misto di nobiltà e malinconia ne descrivono le fattezze che paiono reali.

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Giovanna Tornabuboni

Gli stessi autoritratti del maestro, che appaiono in diverse sue opere, rivelano il carattere del Ghirlandaio, pittore che si dimostra tanto consapevole e appassionato alla sua arte da affermare, si dice:

Lascia lavorare me […] che ora che ho cominciato a conoscere il modo di quest’arte mi duole che non mi sia allogato a dipingere a storie il circuito di tutte le mura della città di Fiorenza.

Sarà infatti l’arte dell’affresco ad affascinarlo a tal punto da diventarne un maestro eccellente, caratteristica che sarà certo utile a chi da lui avrebbe intrapreso l’apprendistato come il giovane Michelangelo, sebbene per poco tempo. La sua pittura a muro, che ne distingue la dote trasmessa in seguito ai propri discepoli, viene detta dal Vasari «cosa bellissima, grande, garbata e vaga, per la vivacità de colori, per la pratica è pulitezza del maneggiargli nel muro e per il poco ritoccargli a secco, oltre la invenzione e collocazione delle cose» in riferimento ad uno dei massimi capolavori del maestro nel ciclo della cappella di Santa Maria Novella.

Da lui discendono come discepoli il Granacci, Baccio Bandinelli e molti altri pittori rinascimentali che appresero nella bottega Fiorentina tanto la bravura nel disegno e nella resa del dettaglio emotivo, quanto la cultura del tempo, espressa sempre nelle opere del maestro con l’inserimento di personaggi quali Marsilio Ficino o Poliziano secondo una preparazione che era «Cosa veramente più da filosofo che da pittore».

Il Ghirlandaio fu artista nel senso completo del termine rinascimentale: non artigiano, non letterato, ma uomo dalla grande abilità tecnica e di cultura, riconosciuto presso la nobiltà quattrocentesca. Maestro dei maestri che influenzò la storia.

Sara Cusaro per MIfacciodiCultura