Le parole sono importanti. Lo diceva Giacomo Poretti, e per dire la verità anche Raymond Carver e probabilmente anche qualcun altro. Ecco perché della querelle sulle mutande al David di Michelangelo ad alcuni di noi balza agli occhi la definizione di “pornografico”. Pornografico ha un po’ di derivazioni: dal greco per “prostituta”, e da -gràphos che sta ad indicare la rappresentazione visiva (a spanne); in altri termini, la rappresentazione mirata di atti sessuali e osceni al preciso fine di indurre eccitazione nel fruitore delle immagini.

Il David di Michelangelo?

Ma veramente c’è qualcuno che, etimologia alla mano, trova pornografico il David? Ogni altra eccezione rimossa, alla direzione della  Classical School di Tallahassee, in Florida, andrebbe consigliato un buon terapista. E consegnato un buono per ripetere le scuole, dall’asilo, indipendentemente dai Ph.D. raggiunti.

Ma le turbe della sfera sessuale di questi docenti sono solo un aspetto del problema. Personalmente, mi sono scosso la naftalina di dosso e torno a scrivere qui perché contemporaneamente al David e a Roald Dahl sta suscitando i talebani della cancel culture anche un altro personaggio, di cui ho avuto il piacere di scrivere qui: Agatha Christie. Che secondo alcuni va riscritta, mondata ed emendata di “insulti e parolacce”.

Zia Agatha?

Appare evidente che buona parte di tutto ciò è strumentale e pretestuoso, frutto della combinazione del desiderio di emergere nel campo della cultura-intrattenimento e della totale assenza di basi sulle quali installare tale desiderio. Lo si evince dal fatto che viene presa di mira Agatha Christie, che è un’icona assoluta (anche di stile), e non Mickey Spillane o Jean-Christophe Grangé, per il semplice fatto che la Zia è una star, con tutta la risonanza che ciò comporta se la si va ad attaccare. La motivazione, poi, è un capolavoro: quest’opera di revisione, come per Dahl peraltro, si renderebbe necessaria per adattare i gialli della signora inglese alla sensibilità moderna: la quale, come si può empiricamente constatare ad ogni piè sospinto, non esiste più di una qualsiasi altra figura mitologica dell’età dell’Apparenza.

Ma certamente non può essere tutto qui.  Vi è sicuramente il problema dell’ignoranza: obiettivo lungamente perseguito per i propri scopi dalla politica (mondiale, bipartisan: in Italia, a risalire all’immediato dopo-Manzi) e finalmente raggiunto. Un’ignoranza crassa, autoreferenziale e tracotante, che implica, in tutta sincerità, l’effettiva mancanza di basi sulle quali poter distinguere Fabio Volo da Italo Calvino, e quindi il fagiolino (cit. Notting Hill) del David dalla pannocchia di John Holmes. Teniamo sempre presente cosa dicevano Eco e Camilleri sull’ignoranza.

Tuttavia, all’ignoranza vi sarebbe rimedio: esogeno, ossia lo studio, ed endogeno, ossia la dotazione di intelligenza e sensibilità di base. A questo punto, non dobbiamo dimenticare la stupidità. Ad alcuni di noi la percentuale sparata una volta da Piergiorgio Odifreddi (il 90%) sembra in effetti ottimistica, ma diciamo che basta e avanza a giustificare tutta la cancel culture: che come la mafia non è altro che una montagna di M. (meglio se ci censuriamo da soli, va’).

In sintesi, uniamo gli aforismi di due signori G., Gaber e Goethe: “Abbiamo avuto la libertà di pensiero, adesso ci vorrebbe il pensiero”, e “Niente è più terribile dell’ignoranza attiva”, ed abbiamo il quadro della situa, per dirla alla ignorant style. Ma siccome vogliamo adattarci allo spirito dei tempi, alla nuova sensibilità, ci lasciamo coniando uno slogan, che di solito è sufficiente, e ce n’è d’avanzo, a creare un intero mondo, fittizio ma dagli effetti reali: tipo “Stop making stupid people famous”, insomma.

Togliamo la cultura dalle mani degli stupidi

 

Sembra una boutade, ma altra soluzione non c’è (vado a chiudermi nel bunker antiatomico).

 

Vieri Peroncini per MifacciodiCultura