Hanno ancora senso di esistere l’insegnamento e la scuola nell’era moderna?

La scholè in greco indicava il tempo libero in cui gli esseri umani si dedicavano alla dimensione più importante della crescita e della persona, interrogarsi, affrontatare la krisis. Ci si occupava del costruire la propria identità, ragionare, imparare. Al contrario, l’a-scholìa, da ridurre al minimo indispensabile, era il tempo necessario per produrre, lavorare e far soldi.

Il nuovo millennio e la dirompente tecnologia hanno visto un’inversione di priorità: imperano lavoro, denaro e produzione. Tutto è facilmente rintracciabile in pochi secondi grazie ad internet, computer e smartphone. A cosa serve imparare matematica quando si ottengono risultati precisi con le calcolatrici? Dov’è l’utilità di storia e letteratura quando in un click google e wikipedia rispondono ad ogni curiosità? Mentre i paesi del Nord Europa hanno ristrutturato completamente l’apparato scolastico, rivedendo setting, programmi e metodo di insegnamento, l’Italia sembra annaspare.

Davanti a generazioni di giovani depressi e sempre più ritirati dalla vita, indecisi a tutto, smarriti, senza un’idea di cosa faranno da grandi perché non riescono ad avere sogni, riformulare il sistema di istruzione appare indispensabile.  In Irlanda tra i compiti dati vi sono anche “atti di gentilezza” come instaurare relazioni con amici e parenti, persone anziane, aiutare in casa ed i più bisognosi, ma anche dedicarsi a se stessi, per il benessere emotivo, fisico e spirituale (Gaelscoil Mhichíl Uí Choileáin, Clonakilty).

Secondo una stima approssimativa, negli ultimi dieci anni un milione e ottocentomila ragazzi hanno interrotto gli studi. L’italia si avvicina al 15% di abbandoni scolastici, mentre il target europeo vorrebbe abbassare la percentuale di abbandono al 10%, incrementando al 40% i laureati (strategia europa 2020). L’indagine OCSE-PISA 2018 attesta che gli studenti non sono in grado di interpretare un testo e sono pochissimi quelli che leggono (https://www.oecd.org/pisa/publications/PISA2018_CN_ITA_IT.pdf). La media italiana è di circa due libri letti per anno, contro i dodici dei paesi esteri.

Il sistema scolastico finlandese è considerato tra i migliori per la sua scrupolosa organizzazione e l’attenzione alle necessità degli studenti, pur essendo completamente gratuito. Dai sei anni fino ai sedici i giovani frequentano la Peruskoulu (scuola di base), con focus particolare su abilità manuali: cucina, lavoro a maglia e artigianato. L’educazione è incentrata su arte, musica e competenze linguistiche, tanto che i bambini a soli dieci anni conoscono già quattro lingue. Dai diciassette anni si può scegliere se intraprendere un percorso professionale che termina dopo quattro anni, oppure un percorso indirizzato alla carriera accademica, che ha come traguardo il dottorato. L’elevata formazione e la scelta super-selettiva degli insegnanti, la libertà di poter gestire autonomamente il programma, l’alta considerazione sociale e l’ottima remunerazione hanno reso possibile l’evoluzione di una professione che altrimenti sarebbe stata fagocitata dalla società moderna.

La scuola nord europea utilizza metodi pedagogici molto lontani dai nostri: non ci sono le valutazioni tradizionali, l’edificio scolastico è reso familiare ed accogliente. All’entrata i bambini si tolgono le scarpe e non indossano né grembiuli né divise. Nelle classi non vi è una cattedra e l’insegnante condivide lo spazio con gli alunni. Sport prima di iniziare le lezioni, laboratori didattici e manuali; pranzo in mensa tutti insieme, compiti e attività sportive come scii o nuoto . La giornata è organizzata in modo tale da lasciare allo studente il tempo libero da dedicare a scopi personali e alla famiglia.

Secondo i dati Eurostat, l’Italia con il 23,4% (pari a 2.116.000 giovani) si posiziona al primo posto con il doppio della media europea di NEET (Not –engaged- in Education, Employment or Training), ovvero dei giovani che non studiano, non lavorano e non seguono una formazione. La problematica di chi esce dal circuito di studio/lavoro riguarda anche le famiglie benestanti e non necessariamente è legato a situazioni di povertà. L’abbandono di studenti nella scuola pubblica ha un costo stimato di 2,7 miliardi di euro l’anno. Un prezzo salatissimo ed una scelta pesante che incide in primis sulla vita dei fuoriusciti.

Perchè oggi si abbandona la scuola? Tra le cause dell’allontanamento dal sistema scolastico e formativo sembrerebbero rintracciabili fattori come arretratezza culturale e strutturale, ma anche la rigidità della didattica. Non ancora risolti i meccanismi della disuguaglianza (di genere, squilibrio territoriale, discriminazione etnica) bullismo e condotte devianti, disagi personali, come la fobia o l’ansia scolare.

Il prof. De Silvestri, del dipartimento scienze umane dell’Università di Verona,  riflette sulla condizione della scuola italiana, povera e marginalizzata. Nel passato c’era un patto educativo in cui il genitore rafforzava la decisione dell’insegnante, oggi questo è venuto meno. Affollata e presa dalla frenesia di seguire programmi ministeriali già definiti, è’ una scuola che spiega: il professore parla, solo assimilazione passiva per l’alunno. Una scuola seduta, statica, che non guarda al setting per materie differenti, disciplinarista, divisa tra ordini. Richiede attenzione ad ogni ora, assegna compiti per casa, interroga, verifica, valuta. La didattica consiste nel riempire le teste del maggior numero di nozioni, nell’errata convinzione che sia necessario per essere competitivi. Non domina il principio dell’apprendimento ma quello della prestazione, incalza la visione distopica della scuola-azienda. Una scuola “smarrita”, che ha perso il suo prestigio simbolico e soprattutto la sua valenza ideologica.

Eppure, nonostante questa situazione desolata, il prof. Massimo Recalcati, psicanalista ed illustre accademico, crede ancora nell’importanza dell’insegnamento (L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento), che deve essere paragonata ad un rapporto d’amore. Una trasmissione del sapere che passa dal maestro all’allievo: un transfert amoroso in cui l’oggetto del sapere diventa oggetto del desiderio.

“Insegnare (educare) non è riempire un secchio ma accendere un fuoco”. William B. Yeats

Insegnare non può essere ridotto al travasare il sapere da un recipiente colmo ad uno vuoto.

Affascinante il suo etimo, che rimanda al concetto di lasciare un segno. E’ l’unione di educere e seducere: animare la domanda, la curiosità e l’amore per il sapere. Un incontro verso la cultura, indicando la via per nuovi mondi, risvegliare, attivare, mettere in movimento le menti, accendere l’entusiasmo. Insegnare significa far innamorare i discenti (di qualsiasi età) ed appassionarli. E’ proprio l’amore per il sapere che rende possibile l’apprendimento. Il segno importante che lascia il maestro è il desiderio di imparare. La scuola così intesa era l’ultimo luogo di resistenza alla deriva nichilistica del nostro tempo.

Essere insegnanti, per divenire maestri. Un prof. che diventa guida, insegna ciò che non si trova nei libri, trasmettendo autorità e carisma con la sua sola persona. Infonde la sicurezza dei gesti e del pensiero, il desiderio di sapere, il coraggio di riflettere, l’attitudine a giudicare, la crescita. Un maestro aiuta a conquistare uno stile, il contrassegno di quello che si è in quello che si fa. Platone diceva che si può insegnare bene solo ciò che si conosce e che si ama. Ma la passione è una forza “anticurriculare, non programmabile”.

 

Fuck Pirlott, let’s rock

Lara Farinon per MifacciodiCultura