Charles Baudelaire, l'anima sofferente della modernitàCharles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 – Parigi, 31 agosto 1867) è il principale protagonista della poesia francese del XIX secoloartefice di quello che il critico ungherese György Lukács avrebbe definito rispecchiamentocioè la fedele rappresentazione della realtà in cui si vive. L’opera in cui il poeta francese si dedica a descrivere accuratamente la vita cittadina sono Les Fleurs du Mal (“I fiori del male”, 1857). Perché questo titolo? A mio giudizio Baudelaire riprende il motivo del fiore come sinonimo di raccolta poetica, dunque i fiori (cioè le poesie) che l’autore offre ai suoi lettori sono del male, in quanto prodotto di una società corrotta e malata.

Alla base della raccolta del poeta francese vi è la dialettica tra Spleen (la melanconia, la disperazione prodotta dalla vita moderna, di cui l’autore si definisce pittore) e Idéal (l’ideale, il mondo che l’autore vorrebbe vivere e che può essere soltanto raggiunto attraverso misteriose corrispondenze). Sin dalla prefazione rivolta al lettore, l’Io lirico non opera alcuna captato benevolentiae, ma anzi lo pone nella sua stessa condizione: lettori e autore sono simili e fratelli, in quanto vivono la stessa difficile vita. La prima poesia dei Fleurs du Mal instaura una similitudine: il poeta è come l’albatro. Come il volatile marino è aggraziato e agile in volo, ma goffo sulla terra, allo stesso modo è il poeta: egli è il padrone della sua opera e della poesia, ma si trova a disagio e in difficoltà quando si trova nella vita vera. In un certo senso il messaggio dell’intera opera di Baudelaire può essere riassunto nel suo poemetto Enivrez-vous (“Inebriatevi”). A mio parere è necessaria una breve riflessione filologica sulla traduzione: la celebre ingiunzione autoriale non è tanto quella di ubriacarsi (che significherebbe stordirsi completamente), ma di inebriarsi, cioè di esaltarsi, di provare un piacevole godimento o attraverso l’alcol, la poesia oppure la virtù, ad arbitrio del singolo. Così facendo l’Io lirico (e i lettori) potranno sfuggire al tempo, riecheggiando il John Keats che invitava ad accettare la melanconia in quanto stato inevitabile della vita.

images-1-4Personaggio controverso e criticato, ma amato e riscoperto da uno dei più grandi filosofi del secolo scorso ed esponente di spicco della Scuola di Francoforte, Walter Benjamin (Charlottenburg, 15 luglio 1892- Portbou, 26 settembre 1940). Sintetizza Benjamin nei suoi Passagen-Werke (“I passages di Parigi”, 2000) che Baudelaire assurge all’archetipo del flâneur, l’intellettuale vagabondo che si muove nella sua città registrandone ogni cambiamento (per questo egli si era proclamato pittore della vita moderna), molto simile al passeggiatore solitario rousseauiano. 

Les Fleurs du Mal non sono soltanto un potente manifesto della società ottocentesca, ma, romanticamente, sono anche il racconto lirico e drammatico di un’anima scissa, che anela a un ideale irraggiungibile in terra. Le poesie danno accesso a un’anima lacerata, sono le voci di un’anima sofferente.

images-4Pratica comune degli scrittori romantici è quella di assumere droghe e di scrivere diari in cui descrivono gli effetti che esse hanno su di essi (un esempio di letteratura escapista). Coleridge, indirettamente, lo fa nella celebre Kubla Khan (1797, 1816, una visione indotta dal laudano), De Quincey scrive le sue Memoirs of an Opium Eater (“Memorie di un oppiomane”, 1821) e Baudelaire scrive i celebri Paradis artificiels (“I paradisi artificiali”, 1860), dove egli descrive il consumo di oppio e hashish.

Non potevo sottrarmi dal parlare di Charles Baudelaire, un must del canone occidentale, capace di esprimere le sofferenze e lo stato alterno delle umane vicende, le quali sono sempre in tensione tra la disperazione e la fuga dalla realtà, in cerca dell’ideale.     

Andrea Di Carlo per MIfacciodiCultura