Haruki Murakami, maestro dell’onirico, mette in scena dei protagonisti che non sono mai scontati. Come accade anche per quelli di Hayao Miyazaki, non presentano le caratteristiche dell’eroe, non intraprendono percorsi per migliorarsi e le loro avventure non necessariamente seguono un climax ascendente. Un portico pieno di anti-eroi semi annoiati e nemmeno consapevoli di esserlo e, nell’angolo buio, all’improvviso una o più figure femminili. Allegre, vispe, vive, di malinconia o saggezza debolmente umana. Così nascono i personaggi di Murakami, da un’ombra, e quasi sempre ad un’ombra fanno riferimento, o almeno così vale di norma almeno per uno di loro.

E mi chiedo dove siamo andati a finire noi due. Come è potuto succedere? Dove è andato a finire tutto quello che ci sembrava così prezioso, dov’è lei e dov’è la persona che ero allora, il mio mondo? (Haruki Murakami, “Norwegian Wood”)

Ci sono dei colpi di scena, il cielo si pennella di più lune dalla sera alla mattina, ma gli anti-eroi murakamiani accolgono le novità col sibilo improvviso di un risveglio, quando ci si rende conto- nello stato di rêverie tra il sonno e la veglia- di essere già nel mondo reale ma di portare ancora addosso quella sensazione di transitorietà. Avviene una fissazione, la figura maschile, generalmente dai capelli corvini e totalmente avulsa da particolarità o segni distintivi- rimane ancorata al sogno o a quel frangente di realtà che una donna, col suo corpo e la sua mente bluastra e bianca di scintille di vita, ha portato. Le donne sono un uragano, un tramonto scoppiettante di rosa elettrico e vivo che si para dinanzi a un puntino nella foresta, che avrebbe trascorso altri cento anni senza una novità. Le figure femminili, invece- giovani, adulte, di mezza età- proiettano allucinazioni fantasmagoriche di altre possibilità, raccontano di sogni impossibili oppure di spunti interessanti che devierebbero il normale scorrere del tempo con la sua profusione di ovvietà. Le donne sono l’elemento magico, se per magico s’intende il risveglio dalla banalità della quieta sicurezza quotidiana in cui sprofonda l’anti-eroe.

Questa magia rabbaglia l’omino nero pensieroso di Norwegian Wood, Tokyo Blues, che grazie a Midori e Naoko esplora le sensibilità tristi-drammatiche ed eccitanti delle anime che fuggevolmente lasciano passare o afferrano le ore giapponesi.

Le farfalle hanno una grazia incantevole, ma sono anche le creature piú effimere che esistano. Nate chissà dove, cercano dolcemente solo poche cose limitate, e poi scompaiono silenziosamente da qualche parte (Haruki Murakami, “1Q84”)

La frase appena citata proviene da 1Q84, ma richiama la figura di Sumire, la vera protagonista de La ragazza dello sputnik, che con il mito di Kerouac e la prontezza di spirito degna di qualunque Beat in giovane età, racconta di grandi sogni, della ricerca mentale e fisica di lande desolate e città gremite di pensieri fruscianti tra un grattacielo e l’altro. Mentre nella grigia Tokyo, il ragazzo ascolta in silenzio. E nell’ascoltare si innamora, da anti-eroe qual è, della potenza con cui la presenza femminile si narra senza veli. Accade questo al protagonista di 1Q84, che mentre scorrazza avanti e indietro con lo Shinkansen tra Tokyo e la città dei gatti, rivive mentalmente il sapore e le scene di sesso con Fukaeri, la ragazza-dea che richiama l’eco incantato di antiche farfalle azzurre adagiate su qualche baldacchino rosso, in una lussureggiante vibrazione onirica d’epoche fa.

Eravamo tutti e due privi di qualsiasi saggezza, e anche della capacità di ottenerla. Non avevamo nessun sostegno a cui appoggiarci. Eravamo vicini ad un azzeramento totale. Poveri esseri continuamente sospinti da un nulla a un altro nulla (Haruki Murakami, “La ragazza dello sputnik”)

Tra mistero e tenebra, tra scoperta e ricerca di parole intriganti e che descrivano il proprio stato mentale, Murakami rende sagacemente protagonisti degli anti-eroi, che solo con l’aiuto della potenza sconfinata dell’altro lato della luna- una o più figure femminili- possono arrivare a comprendere qualcosa di più della realtà trasognata in cui aprono gli occhi la mattina ed entro la quale s’adagiano impensieriti, su un divano con una birra in mano, quando sovvengono le ombre del crepuscolo.

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