Robert Musil, scrittore austriaco attivo soprattutto nel primo Novecento, nacque a Klagenfurt (Carinzia) il 6 novembre 1880 e scomparve il 15 aprile 1942 a Ginevra.

Il nome di Robert Musil viene spesso citato e ricordato laddove si elogiano colossali lavori letterari di una vita, quale è il suo Uomo senza qualità – paragonato per mole e per impegno scrittorio alla Ricerca del tempo perduto proustiana –, lasciato incompiuto per la morte improvvisa dell’autore. Ma oltre a questo, se si parla di Robert Musil, si approda sul terreno culturale di un vero pensatore, considerato ancora oggi per il suo spirito critico e di grande osservatore del reale.

Figlio della razionalità scientifica, Musil si diplomò in ingegneria meccanica e si laureò con una tesi sviluppata nel campo della filosofia della scienza. In questa salda formazione, trova origine la stessa perplessità e continua riflessione di Musil a proposito della legittimità delle leggi scientifiche e “razionali”. Ha quindi inizio il percorso dell’uomo di cultura dal “razionalismo incorruttibile”, che scrive “difficile”, seguendo strade inusuali e mai battute, quelle che, alla fine, conducono verso la verità. Ecco perché gli scritti di Robert Musil non sono mai facilmente inquadrabili in un genere letterario ben definibile e definito. La sua modalità espositiva, come dichiara saggiamente Roberto Olmi nell’Introduzione a Sulla stupidità e altri scritti (tassello degli Oscar Mondadori), rimanda più «a un atteggiamento spirituale», una forma aperta e sperimentale dell’organizzazione del reale. E il contributo di Musil, infatti, sul piano della disputa tra scienza e letteratura, tra pensiero e sentimenti ha lasciato una granitica impronta che ancora oggi riceve attenzioni.

L’atteggiamento di Robert Musil nei confronti del mondo si oppone a quello dello scienziato e del filosofo, ovvero coloro che tentano di fare prepotentemente della realtà un sedicente sistema organico chiuso. Bisogna, per Musil, lasciare invece aperte le porte alla possibilità, laddove infatti nulla deve essere dato per certo, banalmente stabile. Quel che serve è dunque riflettere e condividere una teoria che tenga conto anche dello spirito, dei sentimenti flessibili e ipotetici, quelli che aiutano l’uomo a vivere.

Sfera razoide (quella scientifica) e non razoide (quella letteraria-sentimentale) – come lui stesso le etichetta – sono per Robert Musil costantemente da riavvicinare, da condurre in una direzione unificatrice, che superi l’infondata e inutile separazione da sempre ingiustamente e limitatamente professata. Uno scienziato o un filosofo, da soli, nella loro sfera razoide, non sarebbero mai in grado di comprendere in maniera completa il reale. La poesia, per Robert Musil, è la sola che spalanca quelle agognate porte della possibilità, che tende la mano contemporaneamente verso la ragione e la non-ragione per tenerle vicine. E viene esposto tutto con gran maestria e limpidezza di ragionamento nello Schizzo della conoscenza del poeta (1908), dove Musil afferma come il poeta stesso non debba però accantonare la propria capacità critica, bensì semplicemente muoversi nel campo del non razoide, della non fissità, per elaborare modelli e schemi che «insegnino all’uomo come essere uomo»:

La sfera non razoide è la patria del poeta, regno della sua ragione. L’antagonista del poeta cerca il dato fisso […]. Qui il compito è un altro […] indicare dei modelli invitanti, che insegnino all’uomo come può essere uomo; inventare l’uomo interiore.

Schizzo della conoscenza del poeta, 1908

Musil
Robert Musil

E questo è il compito non soltanto del poeta “che scrive”, è compito del poeta inteso come colui che più intensamente di altri ha quella coscienza della solitudine dell’Io nel mondo e fra gli uomini. Il poeta ha dunque un proprio e preciso compito, una missione umana che non dipende dal tempo storico bensì dalla necessità sempiterna di allargamento dei confini terreni, dal bisogno di guardare oltre il rimpicciolimento di un mondo chiuso a sistema di leggi fisso e fissato. Il poeta è necessario all’uomo, perché ha il compito di accompagnare l’umanità in movimento nella transazione storica e guidarla all’interno delle continue, inevitabili e incontrollabili variazioni.

Come non ammettere, per noi uomini della società inserita nel Ventunesimo secolo inoltrato, il nostro estremo bisogno di poeti alla Musil? La giusta tensione tra razionale e non-razionale sembrerebbe aver perso seguaci a favore di una più rassicurante (erroneamente?) visione basata sul dato riconosciuto e su leggi scientifiche. E se provassimo a essere meno schiavi e figli della fissità e provare a guardare alla flessibilità?

Sabrina Pessina per MIfacciodiCultura