Non c’è un momento preciso in cui una storia inizia a suscitare fascino così come non ve ne è uno in cui muore definitivamente: l’arte è evocativa di tutte le necessità dell’uomo, simbolicamente le racconta in ogni sfaccettatura. Ma cosa accade quando un individuo, osservando un monumento, una statua o un dipinto, penetra oltre il rivestimento esterno ed incontra quello che la psichiatra fiorentina Graziella Magherini definì “effetto perturbante”?

Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere (Stendhal, Diari, 1817)

Basilica di Santa Croce a Firenze

La psichiatra italiana Graziella Magherini, prendendo spunto dalle parole di Stendhal, coniò il termine “sindrome di Stendhal” dopo aver visionato più di 100 casi, quasi tutti turisti provenienti dall’Europa Occidentale o dal Nord America, tra i 25 e i 40 anni, giunti all’Arcispedale di Firenze coi seguenti sintomi:

  1. crisi di panico e ansia somatizzata (con allucinazioni uditive e cenestofrenie, in cui i soggetti accusano improvvisamente palpitazioni, difficoltà respiratorie, malessere al torace, sensazione di essere sul punto di svenire e conseguente sviluppo di un vago senso di irrealtà, ansia libera o situazionale. Tali condizioni portano ad avvertire un improvviso bisogno “di casa”, di tornare nella propria terra, di parlare la propria lingua)
  2. disturbi dell’affettività:  stati di depressione (con contenuti olotimici di colpa e di rovina)- crisi di pianto, immotivati sensi di colpa, senso di angoscia- o, all’opposto, stati di sovraeccitazione – euforia, estasi, esaltazione
  3. disturbi del pensiero: alterata percezione di suoni e colori e senso persecutorio dell’ambiente circostante, sensazione di città incombente, quasi nemica, come se ci si sentisse perseguitati non già da un’entità, ma dalla città stessa. A differenza della altre due tipologie, questa si manifesta frequentemente in persone con precedenti di scompenso psicologico, che, tuttavia, si trovavano prima della partenza in uno stato di benessere.

C’è una altra sindrome che presenta quasi i medesimi sintomi: la sindrome di Parigi. Il medico Hiroaki Ota sottolinea che anche qui le persone colpite sono i turisti, prevalentemente giapponesi, ma la differenza è che nella capitale francese c’è una reazione di malessere che deriva dalle aspettative deluse. I giapponesi vedono nella Ville Lumiére una proiezione dei loro sogni, la città disincantata di Amelie, di Chanel oltre che la culla dei grandi filosofi, che al Cafe de Flore consumavano le loro riflessioni esistenzialiste; ma la realtà è un’altra: strade sporche, talvolta poco sicure, e poi i rapporti totalmente informali persino tra colleghi destabilizzano le aspettative e portano a reazioni di violente sorprese. E’ stato istituito un numero verde da contattare, visti i numerosi casi di sindrome di Parigi negli ultimi anni.

Le cause della sindrome della città del Magnifico così come quella di Parigi sembrano essere, secondo le recenti scoperte della neuroestetica, riconducibili ai neuroni specchio, che favoriscono l’immedesimazione in entità altre dalla persona. Se l’arte attivasse fosse in grado di favorire una compenetrazione totale nell’opera, si potrebbe così spiegare il grande potere perturbatore: non verrebbero più ad esserci un quadro, una statua, un monumento osservati dall’individuo ma l’individuo stesso diverrebbe quadro, statua e monumento, imponente ed eterno.

Mentre si attendono studi che approfondiscano come mai i sensi siano portati allo sfinimento dalle avance in marmo verde di Prato così come dallo scontro con una realtà scevra di bellezze, cruda fin nelle viscere del suo scheletro architettonico, bisogna riconoscere una realtà: esiste un legame tangibile e tutt’altro che rarefatto tra il creatore- così consacrato alla non-morte spirituale- e l’osservatore, adulatore ed erede suo malgrado di una bellezza al contempo primordiale ed eterna.

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