L’uomo di profilo non si basta, canta nel lontano 1977 il Professore; e prosegue dicendo che il capitano Achab non torna più dal viaggio contro l’impossibile; i due versi sono contigui, e non possiamo certo ritenerlo un caso: il fatto è che sia Moby Dick che Il visconte dimezzato trattano, seppure in modi diversissimi (per impianto stilistico, epoca di realizzazione, financo per volume) la lotta dell’Uomo contro se stesso prima ancora che contro l’Universo.

Italo Calvino da giovane

L’impossibile, in effetti, è un altro dei temi di queste due opere: ma se il viaggio contro Moby Dick è impossibile solo in senso oggettivo, l’impossibilità del nostro Grande Classico di questa settimana, appunto Il Visconte Dimezzato è prima di tutto insita nella scelta di Italo Calvino di operare del tutto al di fuori della narrazione realista (abbandonando la strada intrapresa con Il sentiero dei nidi di ragno o con Ultimo viene il corvo) e di addentrarsi nel mondo stilemico della fiaba. La quale, tra i suoi fondamenti, presuppone appunto l’accadere di avvenimenti impossibili secondo le leggi fisiche e naturali, l’accettazione acritica da parte di tutti i protagonisti di tali avvenimenti e lo sviluppo della trama secondo tali premesse, quasi come in una recondutio ad absurdum (giustamente, poiché il fondo del libro è fortemente filosofico).

Questo è precisamente ciò che avviene nel primo dei volumi della trilogia de I nostri antenati, che comprende anche il Barone Rampante ed il Cavaliere Inesistente (e notiamo che manca un’unitarietà  stilistica nel complesso dell’opera, nella quale il secondo capitolo costituisce una variazione su tema, dal fiabesco al grottesco, inverosimile ma non impossibile), e che Calvino scrive nel 1951, pubblicandolo con Einaudi. La trama è cosa nota: il visconte Medardo arriva nell’accampamento cristiano in Boemia per partecipare alla guerra contro i Turchi, ma durante la sua prima battaglia viene colpito da una palla di cannone, che divide a metà in senso longitudinale: del visconte così dimezzato viene ritrovata la sola parte destra, mentre si pensa che l’altra sia andata distrutta, ma la cosa straordinaria è che il cavaliere è comunque vivo. I medici del campo riescono a fasciare e ricucire la parte ritrovata, cosicché il visconte dimezzato si salva e può quindi tornare a casa.

Da qui, inizia il discorso allegorico – metaforico: la parte salvata, quella destra, è infatti totalmente malvagia, ed inizia a commettere nefandezze di ogni tipo. È evidente che alla cosa si può senza dubbi dare una lettura politica; ma è altresì vero che in ogni caso l’idea di fondo, anche volendo trascurare l’aspetto manicheo della questione, non è particolarmente originale, trovando radici in tutta la letteratura precedente sul tema dell’antagonista, del doppio (o döppelganger che dir si voglia), nella conflittualità tutta interiore tra pulsione al bene e desiderio di malvagità.

Medardo, in definitiva, è una sorta di Jeckyll – Hyde (o di Due Facce in Batman) in cui la visione manichea appunto della divisione metà tra bene e male, che nel romanzo di Stevenson era alternata, si risolve grazie alla sospensione dell’incredulità dovuta agli stilemi fiabeschi in una compresenza della dualità, seppure fisicamente separata per esigenze di metafora. D’altra parte, nel romanzo è implicito un riferimento proprio a Stevenson (ancorché all’Isola del Tesoro), dato che uno dei personaggi secondari è il dottor Trelawney, stesso cognome del finanziatore della missione oggetto del racconto dello scrittore scozzese, il che certamente non può essere casuale, seppure opinabile nel suo significato.

Una vecchia edizione Einaudi del romanzo

È noto poi che lo stesso Calvino dirà, a proposito del Visconte Dimezzato, che si tratta di una metafora che ha come tema centrale il problema dell’uomo contemporaneo (dell’intellettuale, per essere più precisi) dimezzato, cioè diviso a metà, su cui si imperniano gli stati d’animo ed il senso di incompletezza dell’uomo, tanto più nevrotico quanto più contemporaneo. Se quindi abbiamo anche la chiave di lettura psicanalitica (oltre che sociologica), dobbiamo ammettere che la soluzione è semplicistica e consolatoria: contrariamente a quanto ci dice la psicanalisi freudiana, che non trova soluzione automatica alle nevrosi anche in presenza della scoperta della loro origine, il Visconte dimezzato, di cui è viva anche la metà sinistra (totalmente “buona”) alla fine viene ricucito, tornando integro e potendo quindi convolare a giuste nozze – in n vero e proprio happy ending fiabesco, dobbiamo dire.

Vale la pena ricordare alcuni aspetti singolari relativi alla pubblicazione de Il Visconte Dimezzato: aneddotica vuole che questa venne sollecitata dallo stesso Elio Vittorini, che dovette vincere alcune perplessità di Calvino, cosa che fece affermando «Mi sembra che il tuo Visconte faccia libro completo e che non si debba lasciarlo ad aspettare chissà quanto come se fosse un mezzo libro». D’altronde, questo aspetto giocoso della vicenda letteraria ben si accosta al sentimento con cui Italo Calvino stesso si accostò alla stesura del romanzo:

Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso e possibilmente per divertire gli altri; […] ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due, dell’uomo dimezzato, fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra.

Ecco la quadratura del cerchio relativamente alla ponderosità della tematica della lacerazione interiore e sociale dell’uomo in contrapposizione alla possibilità della ricucitura di tale lacerazione: un Calvino ventottenne, all’epoca della stesura del Visconte ben poteva pensare che tutti realizzino una parte di se stessi, contro ogni logica ed evidenza empirica. La qual cosa ce lo fa amare ancor maggiormente, e che rende di fatto Il Visconte Dimezzato ancor più fiabesco.

Vieri Peroncini per MIfacciodiCultura