Nadar, Ritratto di C. Monet, 1899

Claude Monet, nato a Parigi il 14 novembre del 1840, fu il padre degli impressionisti. Il suo quadro Impression, soleil levant ispirò inconsapevolmente l’appellativo, inizialmente affidato al gruppo di artisti francesi in modo dispregiativo dalla critica. Il movimento, raccogliendo impressioni e impressionando i primi spettatori, portò sulla scena artistica una serie di innovazioni, in seguito approfondite dalle avanguardie che negli anni successivi si insinuarono nel panorama europeo ed internazionale. Le conquiste di Monet, che coinvolsero colore, luce e spazio, si protrassero per tutto il corso della sua esistenza. La sua ricerca, che non si arrese neppure davanti alla cecità, si spense solo apparentemente insieme a lui, a Giverny il 5 dicembre del 1926.

Partendo dai principi basilari dell’impressionismo, si osserva subito come la rivoluzione non si limiti alle innovazioni apportate sulla tela, dove le figurazioni sono generate da un complesso unitario di luce, colore e forma. La novità si dirama anche nello spazio, stravolgendo i confini tradizionalmente intesi. Cambiano i soggetti rappresentati: l’importanza primaria sarà attribuita ai paesaggi, alla natura ed agli ambienti di vita quotidiana, spesso analizzati a più riprese per studiare lo spazio sotto diverse prospettive ed illuminazioni. Si passa dalla realizzazione dell’opera in studio, ad una più istantanea visione ripresa “en plein air”. Ancora, mutano i luoghi espositivi, abbandonati non solo per scelta ma per necessità.

Impression di un giorno d'aprile al Boulevard des Capucines
Impression, soleil levant

Monet partecipò nel 1863 al Salon des Refusès, voluto da Napoleone III a seguito del rifiuto di più di 3000 opere da parte della giuria al Salon Ufficiale. In tale occasione esposero fianco a fianco molti di quelli che una decina di anni dopo verranno soprannominati impressionisti. Fu infatti il 15 aprile del 1874 che si tenne la prima mostra impressionista, allestita, non a caso, presso lo studio di un fotografo, Nadar, al 35 di Boulevard des Capucines: qui il gruppo (tra cui spiccano le figure di Degas, Cézanne, Pissarro e Renoir), guidato da Claude Monet, espose 163 opere che, dopo essere state boicottate dal Salon, furono accusate di provocazione dalla critica e dal pubblico.

I quadri, realizzati spesso all’aria aperta, non rifuggono solo i confini dello studio, ma sembrano lottare anche con la gabbia imposta dalla cornice. Lo spazio/la scena rappresentata non ha un limite ben definito, se non dovuto dalla scelta prospettica del pittore, ed è possibile per l’osservatore percepirne la sua continuazione nello spazio reale, che va oltre a quello che l’occhio vede fisicamente.

Monet nello studio di Giverny

Monet, sempre rimanendo legato ad uno spazio consono all’esposizione museale, realizzò una sorta di opera “site-specific”. Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale gli fu chiesto di donare allo governo francese dei pannelli decorativi come monumento simbolo di pace: il 12 aprile del 1922 firmò il contratto che ne sancì la donazione. Le tele furono pensate ed ideate per essere esposte nelle due sale ovali dell’Orangerie, appositamente ridisegnate da Camille Lefèvre con l’aiuto dello stesso pittore. La realizzazione delle opere, raffiguranti ninfee, salici piangenti ed i giardini siti in Normadina, avvenne tra il 1914 e il 1926. Vennero istallate nell’attuale luogo solamente pochi mesi dopo la sua morte, nel 1927. Il visitatore entrando nelle sale de Les Nymphéas si ritrova in un ambiente immersivo, in una sorta di giardino “virtuale”. Claude conclude così la suo produzione ideando un’opera in relazione ad uno specifico contenitore, giocando sulla percezione d’insieme. Questa l’impressione del critico d’arte François Thiébault-Sisson nel febbraio del 1918 entrando nello studio di Giverny dove le opere furono dipinte:

Erano tutte della stessa altezza – approssimativamente 1,80 m. Le larghezze variavano: alcune erano 4, altre 6 o 8 metri. […] Tutto quanto era di un’incredibile sontuosità, ricchezza, intensità di colore e di vita. Per un momento pensai che il vecchio mi avesse preso in giro raccontandomi della perdita della sua vista, ma mi convinsi del contrario quando lo accompagnai nel suo studio dove era solito lavorare ogni giorno e osservai venticinque o trenta opere che aveva scartato, opere che risalivano al periodo in cui, dopo l’inizio della sua infermità, imperterrito, aveva continuato a lavorare. Le note di colore di queste opere erano tremendamente fuori tono e nonostante l’artista fosse presente nel disegno, nel talento per la composizione e nell’effetto d’insieme, il colorista sembrava essere svanito nel nulla; restava impossibile sondare il mistero del miracolo raggiunto.

C. Monet. Ninfee, 1903

Monet e gli impressionisti, dopo un primo effetto shock, sono diventati assai pop; hanno conquistato lo spettatore e ad oggi continuano a conquistarlo (basti pensare agli incassi record delle loro mostre). Tali pittori grazie all’abilità di fissare un istante preciso ma libero, hanno reso quest’ultimo immortale, donando vita allo spazio e permettendone l’amplificazione dello stesso nell’immaginazione di chi osserva. Inoltre le loro opere, rappresentando il quotidiano, non impongono la necessita di conoscenze pregresse ed accolgono pacificamente senza preconcetti gli sguardi. L’occhio di fronte ai capolavori impressionisti si può rilassare, trovandosi immerso o in ambienti familiari o avvolto dai caldi colori della natura. Non per niente tutto questo è stato scelto come testimone dei pace.

Greta Canepa per MifacciodiCultura