Alda Merini è stata una poetessa assai prolifica che ha saputo descrivere con estrema sensibilità l’altalena dell’amore: dalle sue gioie ed euforie fino ai momenti di perdita di senso e disperazione. Sempre, da ogni suo verso, traspare l’amore: un amore già in atto o solo in potenza, in attesa che qualcuno lo colga.
Fu gelosa, Alda? Sembrerebbe di sì: d’altronde, chi molto ama non può sfuggire, prima o poi, ad almeno una punta amara di gelosia. Lei scrisse un componimento dedicato a questo sentimento, contenuto nella raccolta Io dormo soladal titolo Gelosia.

Ti accarezzo piano sui capelli
e maledizione a tutti
se qualche altra ti bacia.

Qui vediamo un gesto di dolcezza che viene subitamente turbato da una “maledizione” che la poetessa medesima scaglia contro tutti. Purtroppo, ella sa bene che l’utopia dell’amore, la favola dei due individui fusi in un’unità e isolati dal resto del mondo, non è compatibile con la varietà, l’instabilità, l’incerto del reale. In quel momento, lei è sola con l’amato; ma se, quando sono separati, fosse un’altra a baciarlo? È in quel “se” tutto il tormento della gelosia: e racconta di mille ipotesi, dubbi, sospetti che turbano l'”io” quando non è congiunto con il suo “tu”.

Sei bello,
sei grande
e io una gelosa forsennata
che mai guarirà.

Alda Merini lo ammette: è gelosa, e lo è fuori da ogni logica («forsennata»). Ne è consapevole, tuttavia non può fare a meno di macerarsi in quella che per lei è una vera e propria malattia, che non ha scelto di avere e che, tuttavia, ora fa parte di lei.

Io sono una bambina
che dal suo essere piccina
piccina, piccina,
ti guarda nell’alto
del tuo cammino.

Si descrive come una bambina, un po’ capricciosa e possessiva: non vorrebbe condividere con nessun altro ciò che è suo, vorrebbe sempre averlo sotto il suo controllo, anche se tende a sfuggirle, anche se l’altro cammina su un piano diverso e lontano (lui in alto, lei in basso). Eppure, lei riesce ad osservarlo: potere della poesia, che le permette di vedere, quasi veggente, oltre le barriere dello spazio e del tempo? Lo slancio del suo pensiero la porta sempre a lui, animata dall’amore e insieme dalla gelosia.

Mi angoscio a pensare
di perdere anche una tua sola
parola.

L’amato è la felicità, l’amato è la Bellezza, un delirio estetico che abbraccia tutti i sensi: anche l’udito. Le parole dell’amato, insieme alla sua presenza e alla sua figura, sono di conforto alla poetessa innamorata, sono un ponte verso una realtà sublimata cui lei anela costantemente. Essere lontana da lui, privata anche delle sue parole, non è semplicemente fonte di tristezza, ma di una vera e propria angoscia. E capiamo ben presto qual è la radice più profonda di questa tremenda paura: l’ombra e l’incubo della solitudine.

La tua bocca è piena di veleni
di miele
e io sono sola.

La bocca è sensuale simbolo d’amore, che racchiude in sé i baci e le parole che la protagonista vorrebbe continuamente scambiare con lui. Eppure, questo è rimasto ormai solo un desiderio insoddisfatto, al contrario delle tenere carezze viste nell’incipit. Cosa si è sostituito al paradiso sublime dell'”io e tu”, a questo mondo parallelo e divino fatto di effusioni, calore e miele, che si trova in alto, dove cammina lui e lei lo segue con lo sguardo?  Nient’altro che l’abisso cupo della solitudine. L’ultimo verso è lapidario: «e io sono sola». Dopo tutti i momenti perfetti, gli assaggi di paradiso, le parole carezzevoli che mi hanno sollevato l’animo in un tripudio di gioia, perché ora mi trovo da sola? Questo sembra dire la poetessa, atterrita, come una bambina che si rende conto di essere perduta, abbandonata. L’ultimo verso è davvero uno squarcio di buio nella luce, e la donna teme di esserne inghiottita. Ecco la gelosia, ecco quell’irresistibile senso di possesso che si prova quando si ama: non è che incontrollabile folle paura di rimanere soli, di nuovo, dopo aver conosciuto il piacere del tempo e del sentimento condiviso.
Lo spettro della solitudine torna anche in molte altre poesie di Alda Merini, come se fosse una sorta di incubo infantile che si ripete, nel timore di essere abbandonata nel buio.
Nella raccolta L’uovo di Saffo spiega il vuoto provocato da una sera senza amore, destinata a trasformarsi in una notte fredda e terrificante:

Quando la notte cala e si fa fonda
e si ingemma la notte dentro il sole
io penso con terrore che la sera
non è stata principio di un amore.

Alda Merini
Alda Merini

Una sera perduta e vana, che condanna la poetessa a rimanere sola, a essere vittima di se stessa e delle proprie debolezze, quando invece desidererebbe la presenza di qualcuno per salvarla e proteggerla. Oltre alla solitudine, l’altro scomodo compagno delle notti più cupe è la follia: incontrollabile e illogica, sfianca e sfibra la protagonista, che sente di non farcela, da sola. La luce si spegne anche da dentro di sé, e la notte vince. E ogni volta il tedio di dover aspettare, di nuovo, sorgere la luce all’esterno. Intanto, nell’animo, lo scenario è inquietante: la poetessa ferisce se stessa, si lascia andare alle tenebre («e mi sbrano e mi abbuio e mi spavento»), senza possibilità di redenzione; si metamorfosa in un Uroboro che divora se stesso («divento serpente di me stessa»). È la lotta terribile tra l'”io” e il medesimo “io” che va in scena quando non c’è un “tu” a salvarlo. E a volte la gelosia può essere questo: la spia di una paura profonda e nascosta, che però dovrebbe farci riflettere sul perché abbiamo tanto timore di rimanere soli con noi stessi.

E mi dimeno nel mio letto sola
e divento serpente di me stessa
e mi sbrano e mi abbuio e mi spavento.
Io mi misuro con la mia follia
che tale è solitudine del verso.

Arianna Capirossi per MIfacciodiCultura