Il mio creatore non ragiona (Palombi Editori, 2022) rimanda d’impatto ad una riflessione legata alla dimensione di fede, ma quando tuo padre è un uomo violento e ti rende l’infanzia un periodo oscuro, è comprensibile che la lunga ricostruzione del pensiero dell’autore Felix Adado si ricongiunga ad una dolorosa circostanza famigliare. A fare il resto c’è una lettera minuscola che riconsegna tutto all’umano.

Quella scritta da Adado – nato in Togo (Africa) quarantadue anni fa – è una breve ma intensa autobiografia, racchiusa in questo titolo, che si ferma alla sua vita in quella terra così calda da rendere cenere anche i sogni.

Adado oggi vive in Italia, è interprete e mediatore culturale, presidente dell’associazione di promozione sociale Fattoria della pace che si occupa di promozione, educazione, formazione, sui temi del benessere psico-fisico-spirituale, dell’integrazione, della non discriminazione di ogni genere e della pace.

In queste pagine non c’è la sua vita di immigrato in Italia – se non nella parte culminante del testo – non c’è la sua vita di marito innamorato se non nel vezzeggiativo con cui chiama sua moglie – Alba salutare – o l’amore sconfinato per i suoi tre figli. C’è, invece, la sua nascita in quella famiglia “governata” da un padre dominante – Monsieur Dossowi – che in casa, in quanto insegnante e, dunque, notabile in città, accoglie con piacere tanti bambini e ragazzi affidatigli per l’onore di crescere con lui, ma non l’amore: né quello per la madre di Felix, né per lui e i suoi fratelli.

Questo amore viene dopo. Una volta chiuso il libro che è chiaramente anche occasione di far pace proprio col passato e con i suoi brutti sentimenti.

Quello con Felix è il rapporto più complesso. Felix è il primo figlio maschio e, secondo la cultura africana, appartiene al padre: ne dispone, lo obbliga ad una vita di servitù nei suoi confronti e di impeccabilità negli studi, ma mai lo incoraggia con una parola di conforto o di apprezzamento. Nelle drammatiche pagine del suo libro Adado racconta violenze fisiche inaudite, offese e dileggi, sevizie che accendono il motore del suo desiderio di fuggire altrove.

D’altro canto la mamma non riesce a proteggerlo da tutto quello che subisce: l’autore la racconta come una donna forte, ma spesso costretta a proteggere se stessa da quel marito sovrastante con la fuga e quindi impossibilitata a tutelare loro, se non con il continuo ripetergli: «Diventerete grandi e vi salverete».

Avrei voluto capirla mia madre, ma non potevo. Quando sei solo un bambino e il primo abbraccio che ti avvolge è quello mortifero dell’indifferenza, il destino è già segnato, non puoi salvarti.

Così matura il desiderio di fuga di Adado. E’ una fuga che negli anni trova tante forme: rifugi mentali, rifugi presso alcuni famigliari, ma anche due tentativi di suicidio e solo alla fine prende la forma dell’Europa.

Nella navata degli ultimi mi sentivo forte come un santo, con uno sguardo fisso verso il futuro, ieratico come una statua, solenne come un profeta che scruta il domani, cercando una vita di rigenerazione.

Ci è arrivato alla “rigenerazione” nel 2005 a bordo di un aereo, dopo tante peripezie, chilometri a piedi, e disavventure. Avrebbe dovuto ripartire ben presto con destinazione la Svizzera, ma poi è rimasto nella Penisola italiana. E’ qui ha cominciato a scrivere un’altra storia...molto più bella, per tanti versi, ma forse a quella parentesi così dolorosa serviva un punto.

Felix Adado il punto lo ha messo con questa autobiografia che termina con una lunga lettera destinata proprio a sua madre.

Antonia De Francesco per MIfacciodiCultura