Che interessi o meno la storia romana, essa avrà sempre una grande certezza di base: Romolo e Remo, figli di Giove e fondatori della città. Impossibile non ricordare i due gemellini accuditi dalla lupa: persino un medio appassionato di calcio li ha presenti dallo stemma della Roma Calcio.

#EtinArcadiaEgo - se Romolo e Remo sui libri di storia li dobbiamo a Livio
La lupa capitolina

Mito o non mito, leggenda o non leggenda, la loro storia, almeno a grandi linee, è parte del patrimonio culturale praticamente di tutti, e gran parte del merito va a un uomo che decise, fra le mille e più mille pagine della sua sterminata opera storica, di inchinarsi rispettosamente davanti al mito e a mantenerlo salvo dalla freddezza della logica: Tito Livio.

Qualche informazione di rito: Tito Livio nasce a Patavium (oggi Padova) nell’epoca delle guerre civili e della crisi delle secolari istituzioni repubblicane, istituzioni a cui lui restò affezionato nostalgicamente per tutta la vita. Si trasferì a Roma per completare la propria istruzione e qui entrò a far parte della cerchia di Augusto, con il quale ebbe un rapporto di profonda stima e affetto reciproco. Il suo nome è stato consegnato alla storia dalla sua monumentale Ab Urbe Condita Libri, una monumentale opera storiografica della Città Eterna, che avrebbe dovuto ricoprire tutti gli eventi dalla sua fondazione fino alla morte di Druso (9 d.C). Questa colossale raccolta divenne una vera e propria enciclopedia storica per gli antichi, tanto che, sebbene solo i primi dieci libri e quelli dal ventunesimo al quarantacinquesimo siano giunti fino a noi, di gran parte di quelli perduti è stato tramandato il riassunto.

Si potrebbe tagliare una foresta intera per scrivere tutto quello che si dice o si pensa su questo straordinario scrittore dell’età augustea, e almeno un’altra per parlare delle sue innovazioni compositive e del suo ruolo cardine nella letteratura romana. Eppure una delle sue più innovative soluzioni ideologiche passa tremendamente in secondo piano: l’aver unito in pacifico connubio i miti divini su Roma e le sue vicende storiche.

Spesso i professori di greco e latino al liceo ripetono come un mantra di leggere sempre l’introduzione alle opere antiche, per comprenderle a fondo. Livio, quasi l’avesse previsto, scrive lui stesso un’introduzione alla sua opera, e proprio qui troviamo la sentenza massima sul suo rapporto con la mitologia:

E quelle storie che si tramandano sulla fondazione della città o prima ancora…io non le voglio né affermare né rigettare

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Statua di Tito Livio a Padova

Davanti alla tradizione del mito e all’autorevolezza delle leggende sulla città, Livio si inchina rispettosamente senza però baciare i piedi, un atteggiamento che è un po’ il simbolo di tutta la sua vita. Egli infatti, seppur grato all’imperatore Augusto per il suo appoggio e rispettoso della sua autorità e del periodo si pace che aveva portato, non arrivò mai a umiliarsi per ottenere favori, né a rinunciare alla sua libertà di pensiero, di base e formazione orgogliosamente repubblicana. Livio sarà sempre un nostalgico della repubblica, ma mai un oppositore ferreo del nuovo regime: la sua unica padrona resta la storia, e ad essa sola obbedirà per tutta la vita.

Tutto questo sembra banale, ma in quanti avrebbero avuto il coraggio in quel particolare di non dare per certa l’esistenza di Enea, che Augusto celebrava (o per meglio dire sbandierava) orgogliosamente come progenitore della sua gens?

L’atteggiamento di Tito Livio è di una modernità unica: egli è perfettamente consapevole che le origini di Roma sono tramandate in una grande cornice mitica, ma ne comprende la grandezza e l’autorità, lasciando al lettore la possibilità di considerarle come vere o come invenzioni. Inoltre, in quanto eccellente storiografo, riconosce in queste leggende un grandissimo valore letterario, che può essere motivo di fascino per un lettore. Un semplice annalista non avrebbe potuto arrivare a queste conclusioni, ma la fama di Livio non era di certo immeritata.

Luca Mombellardo per MIfacciodiCultura