La comunicazione tra ieri e oggi. Comunichiamo, quindi siamo: ma chi?

Il tema della comunicazione è molto caro alla filosofia e ad ogni scienza umana. Il motivo? Semplice: la comunicazione è uno dei tratti specie-specifico degli esseri umani. Comunichiamo da sempre, da prima che si sviluppasse il linguaggio. Al posto delle parole c’erano gli sguardi e spesso ci si poteva fraintendere, come succede ancora oggi con le più avanzate tecnologie, impossibili da immaginare ai tempi dell’homo erectus. Con il passare delle ere, la nostra specie ha sempre più raffinato il modo di comunicare, inizialmente tra chi aveva intorno e progressivamente nel mondo. Si sviluppa con il tempo la cosiddetta comunicazione di massa che mette in dialogo un singolo, o pochi individui, con un numero particolarmente elevato di persone, grazie a strumenti e tecnologie sempre più avanzate come la radio. Il 6 ottobre 1924 andò in onda, infatti, la prima trasmissione radiofonica in Italia. La violinista Ines Viviani Donarelli alle ore 21, presso lo studio romando di palazzo Corrodi, annunciò il concerto inaugurale della prima stazione radiofonica italiana. Una vera e propria rivoluzione nell’ambito della comunicazione: la radio permetteva infatti di collegarsi a tutte le persone che la possedevano.

Di comunicazione però non si inizia a parlare solo dal primo annuncio radiofonico, ma l’essere umano anche “ieri” (uno “ieri” molto lontano) si è interrogato sulla comunicazione. Sono molti i filosofi che hanno fatto di questo tema  un argomento di profonda riflessione, motivati  dal fatto che la comunicazione stessa è alla base della relazione e noi, in qualità di esseri relazionali, non possiamo che domandarci che cosa sia, perché avviene e come si può migliorare — e purtroppo anche distruggere, allontanandoci dalla nostra essenza intimamente e cerebralmente relazionale. Per fare un esempio, nella filosofia antica, di ciò, ovvero di come il comunicare possa essere utilizzato come uno strumento di allontanamento dalla purezza della relazione, non può non venir in mente la sofistica. Le parole in quanto possibilità di persuasione, la comunicazione come una calamita che attiri a sé, arrivando in questo modo ad assoggettare l’altro che crederà di aver trovato la verità, quando in realtà si trova davanti all’apparenza.

Aristotele, in particolare, ha dedicato parte della sua filosofia all’arte della persuasione: la retorica. In qualche modo il testo di Aristotele, dal titolo proprio Retorica, rappresenta il primo manuale di comunicazione di massa che può essere attualizzato oggi per analizzare la comunicazione contemporanea, in particolare quella politica che è spesso costruita su artifici retorici utili proprio a conquistare l’ascoltatore. Diverso, e forse più aperto all’altro, è il modo di comunicare di Platone: basti pensare alle sue opere che nascono come dialoghi, forma letteraria che dà il senso di rimanere aperta alla riflessione. La maièutica, termine con cui si designa il metodo socratico, è un esempio di comunicazione volta all’apertura con chi si ha di fronte. Socrate non voleva persuadere, voleva che chi avesse di fronte, in completa autonomia, comprendesse la verità che aveva dentro di sé. Il ruolo del filosofo era dunque quello di aiutare a strapparci l’apparenza sopra le cose e arrivare alla loro essenza. Non belle parole, non comunicazione dai contorni definiti dall’inizio, ma possibilità di dialogare e domandare.

Nel corso della storia la riflessione sulla comunicazione si fa sempre più dettagliata, analizzando specialmente la possibilità di comunicare tramite il linguaggio. Un esempio è Vygotsky che si è proprio interrogato sullo sviluppo del linguaggio che permette all’essere umano di comunicare con più semplicità. Emblematico e interessante è quanto sostiene al riguardo: il linguaggio si svilupperebbe grazie alla relazione. Questo conferma che l’essenza di noi esseri umani è quella relazionale: solo grazie all’incontro con l’altro si sviluppano le capacità umane, come quella del linguaggio.

Secondo lo psicologo è grazie al legame con i nostri genitori — o caregivers — che questo si sviluppa e solo in un secondo momento si avrà anche un linguaggio intrapersonale. Si arriva progressivamente alle moderne scienze cognitive che analizzano l’organo del cervello e le sue funzioni con lo scopo di comprendere come sia possibile la comunicazione, in particolar modo il comprendersi gli uni con gli altri; infatti non bisogna dimenticare che la comunicazione esiste nella misura in cui esiste la comprensione, altrimenti parleremmo di monologhi.

Arriviamo ad oggi, in cui la comunicazione sta diventando sempre di più visiva. Il neurobiologo Lamberto Maffei avverte sui pericoli di questo tipo di comunicazione. L’homo videns comincia ad avere un’atrofizzazione dell’emisfero sinistro perché è quello destro ad occuparsi delle immagini. Qual è la conseguenza? Siamo l’era dell’imago. Quindi? La nostra esistenza è sempre più proiettata verso la ricerca di un senso materiale, quello di apparire più che essere. Questa comunicazione visiva, che si sviluppa grazie alle moderne tecnologie — internet, social network, smartphone — non ci mette più davvero in relazione e quindi ci troviamo ad essere sempre più soli. Con questo non si intende eliminarla, dal momento che esiste da sempre basti pensare ai graffiti, ma cercare un giusto mezzo, così da non perdere la nostra essenza relazionale, basta leggere quanto dice Zygmunt Bauman:

Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione.

È da questa riflessione che si arriva alla domanda che è sottintesa in tutto l’articolo: ma chi siamo? Comunicare ci fa essere, ci permette tante cose, primo fra tutti ci rende capaci di relazionarci con tante persone, tuttavia a discapito stiamo mettendo sempre più in secondo piano la scoperta di noi stessi. Ciò che ci interessa è farci vedere, (ri)trovarsi non ci interessa più. Dalla prima trasmissione radiofonica italiana fino ai giorni nostri stiamo come assistendo ad un’involuzione: invece di sfruttare i potenti mezzi di comunicazione che possediamo, come possibilità di trovare il nostro vero “Io” grazie alla relazione con gli Altri, ci stiamo sempre più chiudendo in noi stessi, non chiedendoci più chi siamo e come potremmo migliorarci.

E se tornassimo a comunicare guardandoci negli occhi?

Vanessa Romani per MIfacciodiCultura