Il sacro nella riflessione: tra il bisogno di sapere e il bisogno di credere

Il sacro non è mai qualcosa che coincide con la normalità. Sacro evoca sempre l’idea della straordinarietà, di ciò che è oltre il quotidiano, ciò che è oltre il normale. Lo spazio sacro è lo spazio dove non si può andare normalmente. Il tempo sacro è un tempo fuori dell’ordine normale.

M. Massenzio

Da sempre al centro di grandi riflessioni filosofiche c’è il tema del la sacralità. L’essere umano, da quando è curioso, si è sempre interrogato su chi siamo, su come siamo fatti più recentemente e, da ancor prima, da dove veniamo. Il filosofo Umberto Galimberti spiega che il sacro è una parola indoeuropea che vuol dire “separato” e si riferisce alla potenza che gli esseri umani hanno avvertito come superiore, di conseguenza legata a uno scenario che non appartiene a loro, e a cui hanno dato, in principio, il nome di sacro e successivamente di divino. È bene quindi specificare che quando si porta avanti una riflessione su questo tema non ci si sta riferendo a Dio o alla sua esistenza, ma a questa dimensione altra, lontana dall’essere umano. Sono molti infatti gli studi che si addentrano nel mondo del sacro, sia teologici, ma anche antropologici, sociologici e recentemente anche cognitivisti. Queste riflessioni non riguardano quindi l’esistenza di Dio, ma l’idea del sacro come un’esperienza umana; in questo senso – spiega diligentemente Galimberti – le religioni sono nate per difenderci da esso.

L’interesse per il sacro non viene meno nella contemporaneità caratterizzata dalla techné, ma è al centro anche di studi – come già accennato – cognitivi che sottolineano come l’essere umano sia predisposto a credere: basti pensare all’interessante saggio dal titolo emblematico Nati per credere. Perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin (2008). Che vuol dire? Che l’essere umano ha una predisposizione – si potrebbe dire “naturale” – a credere. Nel dettaglio, vari studi cognitivi sottolineano come la specie umana abbia sviluppato una tendenza – filogenetica – ad antropomorfizzare il mondo, quindi ad attribuire un’intenzione a ciò che accade fuori di noi, riuscendo – almeno così sembra – a difenderci dagli agenti esterni.

Plotino (203/5-270)

Si comprende dunque quanto il sacro non sia un argomento fuori dalla riflessione quotidiana, basti pensare a quanto anche nel cinema venga celebrato come un elemento fondamentale dell’esperienza umana. Il tema del sacro lega anche due personalità apparentemente distanti come Plotino e Jung, come si evince da un’interessante puntata di Zettel condotta da Maurizio Ferraris con il contributo di Costantino Esposito, docente dell’Università di Bari ed Enrico Terrone dell’Università di Torino. La puntata, e quello che interessa a noi per questo excursus sul sacro, ruota intorno al fatto che due personalità distanti di epoca e pensiero, siano collegate da questo tema particolare. Plotino, filosofo egiziano di cultura greca vissuto nel III secolo d.C. aveva in sé il razionalismo greco, quello legato al lógos, alla ragione e considera la filosofia come un ritorno a casa, un ritorno che non indica un andare verso un luogo astratto, ma un ritorno ad un’origine che abbiamo dentro di noi – come spiega magistralmente Esposito. In questo senso la filosofia indica un ritorno in se stessi, quindi è una via per la salvezza.

Carl Gustav Jung (1875-1961)

Jung, medico dell’800-900, discepolo di Freud è anch’esso considerato un figlio del positivismo. Sia in Plotino che in Jung risiede l’idea di trasformare il sapere da una ricerca della verità in ricerca della salvezza, e in questo senso il sacro diviene fondamentale. Jung scrive infatti, per sottolineare questa necessità del sacro nella vita umana: «l’irrazionale non deve e non può essere estirpato. Gli dei non possono e non devono morire». Quest’espressione racchiude un’idea molto radicata nel pensiero a cavallo tra l’800 e il 900, quella secondo cui sembra che la scienza abbia spiegato tutto, ma in questa “spiegazione totale” c’è il desiderio di tornare indietro e preservare una zona del sacro che non deve essere intaccata dalla ragione. Il professor Terrone spiega che Jung salva il sacro dalla cultura secolarizzata del ‘900 mettendolo nella psiche, diventando così come una funzione a priori (materiale e non astratta) – come direbbe Kant – che appartiene alla struttura della mente. Il significato di questo? Dire che il sacro è nella nostra vita psichica ne sottolinea la necessità e questo vuol dire che la nostra psiche ha bisogno sia di sapere che della salvezza.

Da questo quadro generale sul sacro si comprende dunque quanto questo concetto voglia dire tanto e come la sua funzione sia un’opzione che si dà all’esperienza umana. La salvezza si può infatti ricercare attraverso il sapere o attraverso l’accettazione di un elemento irrazionale nella vita.

Vanessa Romani per MIfacciodiCultura