«L’ansietà è un sottile rivolo di paura che si insinua nella mente.
Se incoraggiata, scava un canale nel quale tutti gli altri pensieri vengono attirati.»

L’ansia nasce con noi, intendendo con noi proprio l’essere umano. L’ansia non è infatti una prerogativa della contemporaneità, ma è un’emozione naturale ed universale, nata come risposta funzionale di fronte la possibilità di un pericolo. Rappresenta quindi una condizione di attivazione generale delle risorse sia fisiche che mentali di un individuo, che, se contenuta, produce un effetto di ottimizzazione sulle nostre prestazioni. Pensiamo ad esempio all’ansia che deriva dal dover sostenere un esame in cui sarà valutata la nostra preparazione. L’ansia, quella costruttiva, ci spingerà a prepararci al meglio, a dare il massimo prima e durante l’’esame.

C’è però un altro tipo di ansia, quello che fa parte in modo sempre più prepotente delle nostre vite e che non ha nulla di costruttivo: l’ansia cattiva. Questo tipo di ansia è altamente nociva, perché non ci aiuta a impegnarci e a dare il meglio di noi, ma ha un effetto contrario. Sono molti i modi in cui essa si manifesta, il filo conduttore è l’annientamento della nostra razionalità. Quando siamo in balia di quest’ansia distruttiva, i nostri pensieri sono poco lucidi, tendenti solo alla negatività. Quando i pensieri diventano poco lucidi, quando il respiro accelera e sembra che la nostra gabbia toracica non riesca a contenere il nostro cuore, ci sentiamo come se in piena notte fossimo nel mezzo di un bosco senza via di fuga. In realtà siamo “solo” vittime dei nostri pensieri sfuggiti di mano.

Sono però i nostri pensieri ad esserci sfuggiti di mano, o siamo noi che non riusciamo più ad avere il controllo su di essi?

Sono circa 270 milioni le persone colpite da disturbi di ansia, la maggior parte sono tra quelli definiti come Generazione Y. Di chi stiamo parlando? Degli anche detti Millennial, tutti i nati tra i primi anni ottanta e la metà degli anni novanta. Ma non solo. Uno studio del 2018, condotto da un’azienda informatica, la Kaspersky Lab insieme alla società di ricerche Censuswide, ha dimostrato che su 1003 intervistati dei nati tra il 1995 e il 2010, la Generazione Z, l’87% avverte questo disturbo di ansia generalizzato. L’interrogativo che dà il titolo al presente articolo, nasce proprio da queste osservazioni: è corretto parlare di generazione d’ansia quando in realtà l’ansia distruttiva colpisce più di una generazione? Non siamo forse di fronte a individui colpiti da questo tipo di disturbo e non da individui inquadrati in una determinata fascia di età?

Tralasciando questi interrogativi, il dato certo è che la nostra contemporaneità è attraversata interamente da una sensazione di ansia generalizzata che non ha più i tratti funzionali che dovrebbe avere. I ritmi sempre più incalzanti, dentro e fuori l’ambito lavorativo, gli ambienti sempre più competitivi, spingono ognuno di noi a mettersi sempre in discussione, una discussione che però non ha nulla di costruttivo. La maggior parte delle volte è infatti una discussione tra noi e un freddo schermo che ci propina un determinato tipo di realtà che va sempre più verso l’omologazione e il narcisismo. Non ci troviamo quasi più ad intrattenere una conversazione interpersonale, ma siamo sempre più chiusi in una intrapersonale, dove non c’è spazio per il confronto da cui uscire arricchiti e migliorati. Ci confrontiamo invece con delle immagini sui social che raccontano una realtà, che il più delle volte non coincide con la verità.

«Perturbare te desine»: vincere le paure per raggiungere la serenitàIl nostro tempo è completamente coperto da un velo di Maya, fatto di illusioni che durano ventiquattro ore e sogni che durano il tempo di un click. Siamo la generazione di ansia perché siamo la società della velocità, dei sistemi e software complessi, del tutto e subito. Siamo la generazione di ansia perché siamo la società del benessere, gli individui di una soggettività senza alterità. Non avete come l’impressione che in realtà tutto questo benessere ci stia portando alla solitudine? Non siamo forse più ansiosi perché siamo più soli? Sempre immersi nella competitività, nel dover far meglio di tutti a tutti i costi, ci perdiamo la bellezza di essere esseri umani, di essere gentili ed empatici.

Siamo soli e tristi. Siamo tristi e colti dall’ansia. Siamo – forse – colti dall’ansia perché siamo sempre più soli, immersi in una solitudine che noi ci stiamo costruendo.

Vanessa Romani per ArtSpecialDay