In occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini è stato concepito il volume, per la collana “Visioni di Cinema – Quaderni di Visioni Corte Film Festival” a cura di Giuseppe Mallozzi, a lui dedicato. Un omaggio ad uno dei più grandi autori italiani, impegnato nella sua declinazione cinematografica, firmato da Gianmarco Cilento, Gordiano Lupi, Francesco Saverio Marzaduri, Davide Persico, Roberta Verde e lo stesso Giuseppe Mallozzi.

L’esordio di Pasolini dietro la macchina da presa avviene alla soglia dei quarant’anni, con il film “Accattone”. Ciò che merita d’essere evidenziato è che l’intellettuale friuliano ha sì già maturato dieci anni di collaborazioni nel settore, ma quella che lascia emergere è una vera e propria “vocazione” le cui radici affondano ben più lontane nel tempo.

E’ questo l’aspetto primario che campeggia nel testo edito da AliRibelli Edizioni: una riflessione su quello che viene etichettato come un “passaggio” di Pasolini dalla parola scritta all’immagine cinematografica, ma che forse un vero e proprio “passaggio” non è.

Per meglio spiegare questa prospettiva d’approccio – a mio avviso, condivisibile – le pagine propongono un Pasolini dietro l’obiettivo della camera come alle prese con uno dei tanti linguaggi da lui padroneggiati, per dare ulteriore forma alla sua “esperienza filosofica”: c’è la letteratura, c’è la poesia, c’è la politica, c’è il giornalismo e c’è la pellicola.

D’altra parte è lo stesso Pasolini a dire: “in realtà non c’è mai stato un passaggio […], ho sempre pensato di fare del cinema”; ed ancora: “[…] nella mia letteratura esiste una forte dose di elementi cinematografici. Avvicinarsi al cinema è stato quindi avvicinarsi a una tecnica nuova che già da tempo avevo elaborato”.

Dunque è questo il pensiero di base da cui nasce l’esplorazione del terzo volume della collana “Visioni Corte” articolata in dieci saggi tra considerazioni e grandi titoli pasoliniani.

“Il cinema di poesia” di Pasolini emerge nel suo rovesciamento delle convenzioni del racconto, come “una finestra sul mondo” – scrive Roberta Verde – come sulla “borgata”, su “Roma”, sul “sottoproletariato”, a lui tanto cari e per questo protagonisti delle sue narrazioni in film come “Mamma Roma”.

La sua visionarietà artistica si è espressa in maniera similare nel cinema quanto nella letteratura. Il primissimo piano – tanto caro al Pasolini regista – proposto dagli autori di questo testo ispeziona profondamente la settima arte sotto le sue mani, ma ancora di più sotto i suoi occhi: in fondo è di sguardo scrutatore e riflessivo che si tratta che ha utilizzato uno dei tanti linguaggi che chi ha bisogno di dire ha il sacrosanto dovere di cercare.

Antonia De Francesco per MIfacciodiCultura