Satira: le irriverenti pennellate di Michelangelo nel Giudizio universale

31 ottobre 1541: dopo cinque anni, tra pennelli, colori e una serie di improperi che non dubito essere copiosamente fuoruscita dalle labbra del poliedrico e fumantino artista toscano durante l’impegnativo lavoro sui ponteggi romani, Michelangelo completa il Giudizio universale, affresco realizzato sulla parete principale della Cappella Sistina. Un tripudio di nudi possenti e articolati che, in modo solo apparentemente caotico e disordinato, si staglia su un paradisiaco cielo azzurro.

satiraLa narrazione ruota attorno al Cristo giudice che, illuminato da un chiarore paglierino, alza il braccio destro, pronto a sentenziare, mentre una moltitudine di santi lo circonda. Tra questi, si riconosce il martire Bartolomeo: il santo, stringendo in una mano il coltello con cui venne scuoiato, tiene con l’altra la sua pelle, ricordando allo spettatore la sua morte

tutt’altro che piacevole. Nel volto della macabra reliquia, Michelangelo riprodusse un suo tanto inquietante quanto geniale autoritratto, consegnandosi (ancora una volta) all’immortalità della
storia.
Ogni personaggio meriterebbe di essere analizzato singolarmente, ma soffermandoci sulle figure più caratteristiche di questo gioiello michelangiolesco, non può non colpire il racconto degli Inferi, illustrato in basso a destra. Il tormento dei dannati esordisce con un aitante e verdastro Caronte, il quale, impugnando il remo come se fosse una mazza da baseball, informa i peccatori che il viaggio lungo il fiume Acheronte non sarà certo una crociera alle Maldive…

Già nei tratti e nella posa del severo traghettatore infernale si nota, nella tragicità dell’episodio, un certo umorismo grottesco che, scorrendo lo sguardo, viene ulteriormente confermato dalla presenza di altri due personaggi: scelta che rende il Giudizio Universale un’opera in parte satirica!
«Satira?!? Nella Cappella Sistina?!?»

Ci arriveremo.

La satira, con i suoi toni ironici e pungenti, costituisce il secolare mezzo di controllo sociale attraverso cui vengono ridimensionate le forme di potere e denunciate le ingiustizie che le medesime commettono. In buona sostanza è il termometro della democrazia per valutare il grado di tolleranza o di intolleranza di un governo e, di conseguenza, lo “stato di salute” di un Paese.

A partire dal V secolo a.C., con il commediografo greco Aristofane (e probabilmente anche prima), la satira si articola lungo un’affascinante storia millenaria. Una forma espressiva caustica e irriverente che coinvolge praticamente ogni genere letterario e manifestazione artistica.
A tal proposito, tornando al Giudizio universale e ai due personaggi poc’anzi citati, pare che Michelangelo rispose satiricamente agli attacchi ricevuti dal cancelliere pontificio, Pier Soderini, e dal maestro di cerimonie di Papa Paolo III, Biagio da Cesena: gente che aveva un bel peso nelle dinamiche politico-religiose dell’epoca.

I due furono particolarmente critici nei confronti dei nudi presenti nell’affresco, successivamente coperti da pantaloni e drappi svolazzanti commissionati a Daniele da Volterra per emendare “l’oltraggiosa” opera originale.
Il Buonarroti, in vista della censura, decise di vendicare l’onta subita aggiungendo quindi, tra le fiamme dell’Inferno, due figure i cui volti erano sorprendentemente simili a quelli dei sopraccitati detrattori: una chiara denuncia nei confronti dell’ingerenza e della totale mancanza di sensibilità artistica da parte dei due influenti segretari papali. Biagio da Cesena venne addirittura ritratto nelle sembianze del re Minosse (indicato da Dante quale giudice bestiale all’entrata del Cerchio II), con orecchie d’asino e un serpente avvinghiato al suo corpo, intento a mordergli i testicoli!

Si potrebbero descrivere e raccontare molti altri aspetti dell’opera michelangiolesca che portarono a verdetti sfavorevoli e, di conseguenza, a censure. Su tutti, quello di San Biagio che, sulla destra del dipinto, sembra possedere da dietro Santa Caterina d’Alessandria. L’episodio venne in seguito puntualmente “corretto”, con la vestizione dei due nudi e con la testa del santo rivolta verso il Cristo, a differenza dell’originale nel quale il pio sguardo di Biagio si concentrava sul…“dorso” di Caterina, diciamo.

Insomma, la voglia di dar voce alla cosiddetta decima musa, scherzando e castigando i (mal)costumi mediante
l’arma incruenta dell’ironia, ha ispirato anche grandi autori per opere immortali, concretizzando il celebre
adagio di Vladimir Nabokov secondo cui «la satira è una lezione». Una lezione che ognuno dovrebbe
studiare, imparare e promuovere per ridicolizzare le insolenze dei superbi e garantire la salvaguardia del sistema democratico.

Andrea Romagna per MIfacciodiCultura