«Per le sue scritture realistiche e immaginative, unendo l’umore sensibile e la percezione sociale acuta»: con questa motivazione l’Accademia di Svezia decise di assegnare il premio Nobel per la letteratura a John Ernst Steinbeck, Jr. (Salinas, 27 febbraio 1902 – New York, 20 dicembre 1968), uno degli esponenti di punta della cosiddetta Lost Generation, la generazione perduta, termine coniato da Ernest Hemingway in Festa mobile che designa una serie di scrittori (T.S. Eliot, Ezra Pound, William Faulkner et alii) i quali affrontarono nelle loro opere esperienze belliche e post-belliche e anche la corruzione della società (i temi sociali riemergono nel macrotesto di Steinbeck).

Nato in California, egli fu costretto ad abbandonare gli studi presso la prestigiosa università di Stanford, diventando giornalista e vagheggiando una carriera di scrittore nel cuore pulsante dell’America, New York. L’esordio della sua carriera letteraria è nel 1929 col romanzo Cup of Gold: A Life of Sir Henry Morgan, Buccaneer, with Occasional References to History (“La santa Rossa”). Sebbene a giudizio di Steinbeck questo romanzo non fosse un capolavoro (in quanto scritto per far soldi), a mio parere lo scrittore americano sembra aver recepito la lezione di due grandi maestri europei della narrativa d’avventura, Robert Louis Stevenson e il nostro Salgari: la storia è quella di Henry Morgan, un umile agricoltore gallese, che riesce a far fortuna saccheggiando Panama, impossessandosi di un ricco tesoro spagnolo, ma il suo cruccio è quello di non esser riuscito a conquistare la bella e misteriosa santa Rossa

Nel 1932 Steinbeck scrive The Pastures of Heaven (“I pascoli del cielo”, secondo la traduzione di Vittorini del 1940), una serie di racconti ambientati in California (i pascoli eponimi), dove l’autore offre un affresco dialogico della terra natia, in cui si agitano passioni e sentimenti. Ideale prosecuzione della raccolta è il romanzo To a God Unknown (1933, A un Dio sconosciuto, tradotto da Montale nel 1946). Il riferimento è al capitolo 17 versetto 23 degli Atti degli Apostoli, dove Paolo annuncia agli Ateniesi il Dio neotestamentario. A mio giudizio il romanzo può essere compreso se accostato a uno dei capolavori del Modernismo, quella Terra desolata di T.S. Eliot del 1922. Entrambe le opere sono contraddistinte dalla componente cristiana (in Eliot allusioni veterotestamentarie e neotestamentarie) e tutti e due gli autori si rifanno ad antichi riti della vegetazione per poter espiare una colpa (in Eliot la pioggia salvifica non arriva, mentre in Steinbeck il sacrificio personale è accolto positivamente, in quanto la pioggia inizia a cadere dal cielo).

Of Mice and Men (“Uomini e topi”, 1937, tradotto l’anno successivo per Bompiani da Pavese) offre un quadro del mondo contemporaneo, affrontando temi come la stabilità del lavoro, una vita sicura e lo sfruttamento dei poveri (come non pensare ai voucher e alla precarizzazione del lavoro nella società liquida?) I topi eponimi sono i due protagonisti, i due braccianti George Milton e Lennie Small e Crooks, un uomo di colore. Il padre-padrone del microcosmo (la fattoria) è Curley, la cui moglie è desiderata da tutti. Lennie, affetto da un disturbo mentale e non grado di controllare la sua forza, uccide per errore la giovane moglie del padrone e George, per evitare che la situazione precipiti, lo uccide. Steinbeck ci propone (indirettamente) un altro tema molto dibattuto oggi: l’eutanasia. Dà titolo al libro una poesia di Robert Burns (To a Mouse) e forte è l’intertestualità biblica, questa volta riferita al libro del Genesi (Lennie è Adamo tentato dalla moglie di Curley-Eva).

The Grapes of Wrath (1939, “Furore”, ma, letteralmente, “I frutti della rabbia”) è il capolavoro di Steinbeck, ambientato durante la Grande Depressione del 1929. Il titolo (ancora una volta) allude alla Bibbia, in modo particolare ad Apocalisse 14: 19-20, un appello alla giustizia divina nel Giorno del Giudizio, reso attraverso la metafora dell’uva schiacciata. Scopo dichiarato dell’autore è smascherare quelli che egli definisce “avidi bastardi”, responsabili della crisi del 1929 e dei suoi devastanti effetti. Non a caso uno dei personaggi, riferendosi alle banche, è molto esplicito sulla loro natura:

Vi ripeto che la banca è qualcosa di più di un essere umano. È il mostro. L’hanno fatta degli uomini, questo sì, ma gli uomini non la possono tenere sotto controllo

John Steinbeck ha meritato il premio Nobel per la sua narrativa forte e di denuncia, vicina anche al nostro quotidiano con Of Mice and Men The Grapes of Wrath. 

Andrea Di Carlo per MIfacciodiCultura