Charles Baudelaire e quel flâneur rimasto in noi

baudelaire1Charles Baudelaire, poeta francese nato il 9 aprile 1821 e morto il 31 agosto 1867, è il nome cardine della rivoluzione poetica del XIX secolo, non solo francese. Punto di riferimento del movimento simbolista, la sua influenza sui suoi successori fu di rilevante intensità, indipendentemente dal quadro storico o artistico. Siamo davanti a una vera pietra miliare della letteratura. La sua opera più conosciuta è Les fleurs du mal (1857), ma non ha avuto risonanza irrilevante – anche se, per questo, di certo non equiparabile – il suo Le Spleen de Paris (1869), una raccolta di scritti che è stata definita dallo stesso Baudelaire «i nuovi fiori del male, ma con più libertà, molti più dettagli e molta più satira». È partendo esattamente da quest’ultima tra le due opere che sorgono spontanee alcune e semplici riflessioni, in particolar modo per il fatto che ha una significativa eco nel nostro presente e in quel suo costante rapporto tra uomo singolo e folla.

Immerso nella realtà urbana parigina, Baudelaire si fa attento scrutatore della moltitudine a cui lui stesso appartiene come individuo. Siamo ormai nella modernità, con Baudelaire, nella società che ospita ormai concetti fondamentali come mondanità, mettersi in mostra, farsi notare, ma anche essere osservatori a propria volta. Da questo contesto molto scenico e teatrale, in cui tutti sono attori su un palcoscenico cittadino, spicca la figura più che mai protagonista della situazione descritta: il flâneur.

Gustave Caillebotte - Jour de pluie à Paris (1877)
Gustave Caillebotte – Jour de pluie à Paris (1877)

Personaggio principe di molti romanzi d’appendice di fine Ottocento, il flâneur si fa notare ma non catturare o etichettare: sfugge a ogni confine descrittivo e vive nel suo alone magnetico. Non meglio delineabile, quindi, questo personaggio si presenta come colui che vaga solitario tra la folla cittadina, sviluppando e mantenendo allenata la sua capacità d’osservazione. Grazie a Baudelaire, questo tipo d’uomo diventa celebre, proprio in quanto quel suo spirito vagabondo, che tanto stride con l’affaccendamento capitalistico borghese, lo pone in risalto. Il suo ambiente naturale è il passage, divenuto poi grande magazzino, centro commerciale, fino alla più dispersiva struttura per la moltitudine.

Il flâneur si è dovuto adattare a questa evoluzione dei luoghi di consumo. Dove avrebbe potuto altrimenti osservare la società? In suo aiuto è giunta la tecnologia. In una società, come la nostra, in cui si è perso quel contatto diretto tra le persone, a causa di rapporti sempre più mediati e mediatici, il flâneur è diventato – con i dovuti e complessi sviluppi – il ciberflâneur (o cyberflâneur) del web: colui che, in sostanza, non passeggia nelle strade ma naviga in Internet. Il principio d’osservazione è lo stesso: si è online alla ricerca di qualcosa, che può essere diverso ogni volta. Cerchiamo informazioni, novità in tempo reale sul mondo, oggetti per la casa, vestiti, un posto di lavoro o un posto di vacanza. Insomma, tutto, davvero. Un controllo che ha toccato le sue più inimmaginabili vette con i social network. Se vogliamo, possiamo avere tutte le informazioni che vogliamo, su chiunque. Abbiamo, grazie a Internet, la società sott’occhio. Potremmo quasi dire che c’è un flâneur baudelairiano in ognuno di noi.

Sabrina Pessina per MIfacciodiCultura