I versi che danno il titolo al libro sono tratti dalla raccolta “L’intermittenza del giallo” di Tonino Di Mille, l’uomo che ha fatto da padre a Paolo, Luigi e Mario Calabresi.

Il titolo in questione è “Spingendo la notte più in là”, il libro scritto da Mario Calabresi ripercorrendo la storia della sua famiglia segnata dalla morte di suo padre il commissario Luigi Calabresi, ucciso nel maggio del 1972, caduto vittima del terrosimo, a Milano. Nelle varie dimensioni del dolore, da quello dell’opinione pubblica a quello privato, una famiglia fu spezzata, nonostante fosse proprio in procinto di crescere: Gemma Capria, moglie del Commissario, era in attesa del terzo bambino.

Di quei tre figli, Mario – giornalista e scrittore – ha scoperto molto presto le “virtù taumaturgiche e curative delle parole e l’importanza della condivisione della memoria”. Ad impartirgli questa lezione fu – racconta – nonna Maria Tessa Capra, con la quale si perdeva in lunghi racconti. Proprio questo insegnamento lo ha segnato al punto che – dai quattordici anni in poi, il bisogno di scoprire, sapere e, in qualche modo, capire quanto accaduto al suo papà – ha provato a ricostruire il tutto appunto tramite le parole con il quale lui stesso, i fatti e le conseguenze, erano stati raccontati. Anche con quei cronologi “privati” che furono solo quattro.

Così la storia di questo testo sembra nascere, potremmo dire, proprio nella pre-adolescenza di Mario Calabresi, che cominciò a saltare la scuola per andare a leggere i giornali dell’epoca nell’emeroteca della biblioteca Sormani. “Cosi, con il passare del tempo, ho messo in fila sei ricordi, sei immagini” ritenute da lui simbolo del “calvario”, dello “strazio” affrontato.

Quali sono queste “parole/immagini”? Sono: il nonno; la posta; l’appunto; il presagio; la pistola; la promessa. E a queste parole chiavi, Mario Calabresi – figlio/scrittore – fa seguire questa porizione di testo:

Si potrebbe pensare che questa fosse l’angoscia di una famiglia, sei fotogrammi di un film privato, inaccessibile. Per anni, per capire, mi sono preso la briga di andare a vedere tutta la pellicola e purtroppo ho scoperto che la violenza e il livello della minaccia erano sotto gli occhi di tutti. Ma quasi nessuno sembrò prevedere gli sviluppi tragici di quella campagna d’odio.

Ed è così che imbracciando qualcosa di ben diverso da una pistola, ma non meno potente – le parole e la voglia di vivere – che Mario Calabresi con questo testo prova a spingere “la notte più in là”, prova a togliere un po’ di quel “buio” che ha percepito sulla storia di suo padre e del resto della famiglia, in qualche misura altrettanto vittima. 


Antonia De Francesco per MIfacciodiCultura