Ironica, graffiante, irriverente. A differenza di altre “sorelle” più dolci e aggraziate, la Satira è una musa arguta e sfacciata, a tratti grottesca, abile nell’affascinare attraverso quel sorriso amaro che diverte e, al contempo, fa riflettere. Una dea che, nel corso dei secoli, ha conquistato artisti e letterati, pronti ad ascoltare il suo canto per correggere, a colpi di penna e pennello, i (mal)costumi delle società di ogni epoca.

I temi oggetto di satira sono i più disparati, dalla politica alla religione, passando per la morte e, ovviamente, per il sesso. A proposito di sesso (in questo caso non l’atto in sé, ma la distinzione maschio/femmina), gli autori satirici non hanno mai disdegnato la satira di genere. Satirografi e satirografe hanno spesso preso di mira donne e uomini, cavalcando sovente l’onda dei luoghi comuni, per giungere a una derisione che rasentava la misoginia o (più raramente) la misandria.

L’autore satirico misogino per eccellenza è certamente Decimo Giunio Giovenale che, nella sua Satira VI, sferra un attacco diretto e spietato nei confronti delle donne, elencando un campionario di “temibili tipi femminili” tra cui le patite degli spettacoli, le nobili ricche che umiliano i mariti, le raffinate grecizzanti, le mascoline, le saccenti letterate, tutte amanti, secondo l’autore latino, di litigi e inganni.

Tuttavia, per trovare satire contro le donne non serve riavvolgere il nastro della storia fino al I secolo d.C. Un esempio lo abbiamo anche a inizio Seicento quando il senese Francesco Buoninsegni, giurista e letterato, scrisse Contro ’l lusso donnesco: una satira menippea cui il filologo Martino Capucci riconosce «un certo garbo spiritoso, anche se si avvale di argomentazioni ormai stantie».

L’opera, che nel suo generale “garbo spiritoso” ha anche sprazzi di mera perfidia come nel passaggio in cui Buoninsegni descrive la donna quale «un verme che rode il cuore agli amanti, un vomito delicato della natura, ed un sepolcro indorato de’ cuori umani», diede vita a un acceso dibattito!

Lo scontro letterario coinvolse anche Elena Cassandra Tarabotti, in religione Suor Arcangela: audace monaca veneziana, quarta di undici figli, destinata al convento forse a causa di una zoppia congenita; un percorso monastico forzato che lei stessa denunciò coraggiosamente nell’opera Tirannia paterna.

Nel 1644, invece, venne pubblicata a Venezia la sua Antisatira in risposta all’opera di Buoninsegni, nella cui introduzione Suor Arcangela sottolinea di aver composto il testo su richiesta di alcune gentildonne «ch’instantissimamente mi pregarono a servirle della risposta».

Nell’opera, redatta «per diffendere il mio sesso a torto oltraggiato», Tarabotti esordisce criticando Buoninsegni e Ariosto (che nel XXVIII canto dell’Orlando Furioso concede a un suo personaggio, il rozzo oste di Arles, una serie di invettive contro le donne). Nel prosieguo del testo, Suor Arcangela articola, attraverso una prosa densa di immagini, la sua difesa del genere femminile, mettendo alla berlina quello maschile con tutte le sue contraddizioni. A tal proposito, «se prima ch’arrivassero ad ottenerle in mogli si professavano di loro ardenti e amanti – dice l’autrice dei cosiddetti “ammogliati”, riprendendo il tema degli abiti lussuosi – ora vorrebbero ch’elle vestissero all’uso della nostra prima madre, per piú agiatamente poter scialacquare in adornar le meretrici», come a dire che i mariti vorrebbero che le loro mogli si vestissero assai umilmente per poter conservare il denaro da spendere poi in prostitute.

Sviluppata con intelligenza e ironia, l’Antisatira è davvero un’opera brillante! Questo caustico e irriverente scritto di Suor Arcangela in difesa delle donne può dunque essere legittimamente inserito nella letteratura satirica italiana; e la sua autrice, tra le prime a promuovere anche con sferzante umorismo la parità di diritti tra uomini e donne, può essere considerata non solo una antesignana del femminismo, ma anche una delle figure più illuminate del XVII secolo.

 

Andrea Romagna per MifacciodiCultura