Finalista al Premio Calvino 2023, è l’esordio letterario dello psichiatra pugliese Giuseppe Quaranta. Un’opera prima complessa e suggestiva, in cui la letteratura alta si interfaccia con mondi ignoti. E’ un racconto fortemente intriso di malinconia e coscienza; scandaglia i grandi temi esistenziali come la morte e la vecchiaia, la ricerca di identità, tra salute mentale e immortalità. Un viaggio interplanetario da cui non si può immaginare se si riesce a tornare. Ma bisogna sempre andare agli appuntamenti che non abbiamo mai preso e questo è un incontro con i coralli che conservano l’amarezza del vivere. Ci si affaccia nell’universo della psichiatria, spesso lasciato ai confini del mondo. Borderline in tutto, dalle pareti grigie dei nosocomi, al contenimento fisico dei pazienti, a pratiche dimenticate come elettroshock, TSO e la presa di distanza come se i pazienti non fossero più persone ma alieni. I personaggi sono reversibili e si (con)fondono con forti tratti autobiografici e citazioni colte, la narrazione si articola tra cartelle cliniche e patologie reali. Quasi un poliziesco con un mistero da risolvere, partendo dall’anagramma del cognome di uno dei protagonisti, enigmi e sfumature; una serie di amnesie, un’alterazione nella visione dei colori, e sbalzi umorali; un declino inarrestabile che frantumerà la mente in mille pezzi di vetro, scintillanti e amorfi. Emerge forte la frammentazione del sè e la percezione esterna, un rimbalzare di immagini che non sono mai fedeli all’originale. Ræbenson omaggia Berenson, storico dell’arte tra i maggiori esperti delle tematiche di morte e resurrezione, sogni e allucinazioni. Quaranta lascia intravvedere parzialmente i disagi dei pazienti psichiatrici, i contorni sono sfumati, ma plumbei. La tensione investigativa conduce in un sentiero sconosciuto, quello della psiche, una metamorfosi kafkiana che insegue l’assurdo spacciato per logico. Si viene immersi in un delirio di cui non si sa mai con esattezza quando sia separato dalla realtà. E allora tutto viene rimesso in discussione, lo psichiatra che cura raccoglie il passaggio di testimone dallo psichiatra che diventa esso stesso paziente, tutto si mescola, senza soluzione di continuità. Ancorati prepotentemente al reale, le sigarette continuamente accese e spente e quel collegamento aperto con il qui ed ora, in cui però passano giorni, mesi, anni, decenni senza lo scandire del tempo. Ci si siede sotto un albero, sulle panchine davanti il reparto. La morte si dipinge di venature verdi, una resa o un ritorno alla natura. Deltito, a causa della sua sindrome, è incapace di morire per morte naturale, come se fosse condannato all’immortalità. Rievoca Huxley e il doppio di Borges, recupera le filosofie orientali e il concetto di solitudine. Si rintracciano Nietzsche e Calderon de La Barca, passando per quell’ardore di vita che bruciava impetuoso nella cifra stilistica di James Joyce. Quaranta apre a temi impegnativi e assai complessi, la malattia, il suicidio e la non accettazione, tra memorie e ricordi che svaniscono. Dove vanno le anime dissociate? la sindrome di Deltito non è così distante da quelle vere, sottolinea la consapevolezza dell’ancora modesta conoscenza della psiche. Palliativi, accessi ospedalieri in fase acuta e cliniche di degenza per allungare i ricoveri. Sulla scia di maestri come Sebald, Borges e Nabokov, ci si interroga sulla possibilità di conoscere la mente altrui. Attraverso universi indecifrabili, sulle orme di Pirandello, Buzzati e Svevo. Tutto è labile e viene velocemente superato, come le convinzioni degli esperti dei convegni medici e i pensieri dei protagonisti. Indizi di un giallo da risolvere, da intercettare tra le righe e le foto. Transfert e controtransfert, le voci narranti si sommano e i tre psichiatri creano un caleidoscopio. Deltito viene colpito più volte da amnesia e perdite di coscienza, diventando la proiezione distopica dell’uomo moderno. Racconta anche la spossessione dei ricordi e la finta archiviazione della memoria, lasciata sempre più frequentemente nel cyberspazio. Un paradosso efficacemente affrontato, in un’epoca che tende a rendere disponibile per l’eternità qualsiasi cosa meno che l’essenza stessa dell’uomo. Prima che la morte diventi oggetto di desiderio, è la vita a divenire oggetto d’indifferenza, di noia, di disgusto, di orrore e di disprezzo, il dolore dell’autoconservazione dipende solo dal diritto alla felicità. Il lettore si lancia in questo folle inseguimento alla ricerca della soluzione, ma non ci saranno risposte, le domande si moltiplicano e gli interrogativi restano aperti. Una cassetta di oggetti raccoglie identità. Inventari, che ad occhio esterno possono sembrare senza valore e significato. L’importante non è ciò che si guarda, ma ciò che si vede. Prima di entrare in reparto, come all’ingresso del carcere, o quando si muore, si viene spogliati di tutto e resta solo un mucchietto di oggetti che forse qualcuno proverà ad interpretare. Forse racconteranno della nostra vita, alcuni diventeranno immortali. Alcune storie non sentiranno il limite del tempo e dello spazio.