Manifesto del Futurismo

Sono trascorsi 110 anni da quel 20 febbraio 1909, quando il quotidiano Le Figaro di Parigi pubblicò come articolo di fondo il primo Manifesto del Futurismo. Ispiratore, fondatore nonché finanziatore del movimento era Filippo Tommaso Marinetti, un giovane dandy colto ed estroso: egli aveva ben compreso che con un’efficace campagna pubblicitaria e propagandistica poteva far valere efficacemente le sue idee diffondendole proprio attraverso i mezzi che sino a quel momento erano stati destinati solo alle comunicazioni commerciali.

Il programma di Marinetti, che coinvolgeva letteratura e arti figurative, era perfettamente in linea con il clima di rinnovamento che l’Europa stava vivendo in quello stesso periodo: i progressi in ambito scientifico e tecnologico avevano mutato sensibilmente il tenore e  lo stile di vita nelle città che erano diventate caotiche, affollate, brulicanti  e dai ritmi febbrili, in una parola movimentate. Proprio in virtù di questo miglioramento del tenore di vita, Marinetti sostiene l’esigenza di formulare una totale cesura con il passato attraverso uno svecchiamento degli usi e dei costumi e una rinascita culturale. Il Futurismo si traduce dunque in un forte contrasto tra sperimentalismo estremo e un tradizionalismo stantio che ostacola la realtà in continuo divenire proiettata appunto verso il futuro.

Giacomo Balla, Automobile in Corsa

Il Manifesto si articolava in 11 punti che delineavano, celebrandoli ed esasperandoli, «l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà» cui segue il mito della guerra «come sola igiene del mondo» ma anche il «militarismo» e il «patriottismo». Esaltava la «bellezza della velocità» e ovviamente della macchina e dell’«automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia». E ancora, a sottolineare l’importanza del progresso «canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde..i piroscafi.. il volo scivolante degli aeroplani». Nel Manifesto si legge inoltre un invito alla distruzione dei musei, delle biblioteche e delle accademie per poi accanirsi contro tutta la letteratura del passato: se doveva esserci un trasformazione, questa doveva partire proprio dalla produzione letteraria e dalla poesia in particolare, e di ciò ne è un esempio la pratica dei paroliberi che consisteva nell’incollare dei ritagli di giornali per comporre dei versi che rievocassero il linguaggio e il tono dei nuovi media.

Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini a Parigi per l’inaugurazione della prima mostra futurista nel 1912

Anche dal punto di vista strettamente artistico, il Futurismo traspone sulle tele la volontà di decantare il rivoluzionario cambiamento della società e la rapidità con cui si stava evolvendo, e sono proprio il movimento e il dinamismo delle masse il perno su cui ruota la pittura futurista: interpreti come Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini hanno cercato di introdurre nelle loro opere la forza del movimento, quello insito negli oggetti ma anche quello proprio dei soggetti, ovvero i sentimenti di chi percepisce. Prediligevano soggetti quali le macchine in movimento, la città, la frenesia delle masse, la vita nei boulevard attraverso i quali esprimevano le nozioni di velocità , vigore, tumultuosa trasformazione.

Per alcuni versi il Futurismo ha suscitato la disapprovazione di molti critici e intellettuali del tempo e per molti anni a venire, indignati dalle affermazioni esplicite di Marinetti, che spesso è stato definito un esaltato, misogino e interventista. Per questo la produzione artistica futurista (e non solo) è stata spesso erroneamente identificata nel clima politico della dittatura fascista e come sottolinea il professor Fabio Benzi «ha significato ovviamente per molti anni un’implicita quanto aprioristica condanna morale e politica per tutto quel versante artistico, come fosse un portato diretto o la risultante di ideologie totalitarie».

U. Boccioni, Dinamismo di un ciclista, 1913

Va rimarcato infatti che l’orientamento artistico-culturale del Futurismo è nato e si è sviluppato ben prima del fascismo e che al contrario di quanto si pensasse il movimento politico ha in parte fatto propri alcuni dei concetti espressi da Marinetti: l’amore per la guerra e in generale per la violenza e la lotta, l’esaltazione del sentimento nazionale e patriottico, l’atteggiamento favorevole nei confronti della tecnologia. C’è forse, in parte, una comune dichiarazione d’intenti che sfocia però in esiti diametralmente opposti, laddove il Futurismo si conferma una delle più interessanti, significative e innovative avanguardie del ‘900.

Laura Pani per MIfacciodiCultura