leone_trailerSergio Leone, nato a Roma il 3 gennaio 1929 e morto il 30 aprile 1989, è stato un grande regista italiano.

Da piccolo Sergio rideva delle comiche di Charlie Chaplin e rimaneva incantato dal cinema di Lubitisch. Crebbe in un ambiente artistico: figlio di Roberto Roberti (Vincenzo Leone), regista originario della provincia di Avellino, che gli diede le prime lezioni di cinema (muto).
Conquistato da quel primo neorealismo di De Sica, a diciotto anni ebbe infatti una piccola parte, come comparsa, in Ladri di biciclette. Lo troviamo come assistente regista o direttore della seconda unità (non accreditato) nelle produzioni hollywoodiane che venivano a girare negli studi di Cinecittà. La scena delle corse con la biga (anche se in realtà i carri in gara sono delle quadrighe trainate da quattro cavalli) in cui Messala rimane ucciso nel colossal Ben-Hur (William Wyler, 1959) è opera sua… e di Andrew Marton e Yakima Canutt.
L’esperienza acquisita sui set lo portò a dirigere Il colosso di Rodi (1961), ma se Sergio Leone è uno dei registi più apprezzati dai cinefili è per la sua maestria nel girare gli Spaghetti Western e quella perla di C’era una volta in America (1984). Il peplum o il genere biblico gli si addicevano poco, le sue intenzioni erano da sempre quelle di passare a un genere più dinamico.

In Italia, in particolare, dalla fine degli anni ’50 agli anni ’70 del Novecento, il genere cinematografico western venne rielaborato in chiave autoctona ed originale, favorendo lo sviluppo di un filone parallelo, comunemente definito Spaghetti WesternIl suo sviluppo coincise, quindi, con il periodo più incerto e confuso del western tradizionale a stelle e strisce: in questo contesto, un’eccezione veniva ancora rappresentata dai classici di John Ford (La Battaglia di Alamo, 1960, L’uomo che uccise Liberty Valance, 1962, Il grande sentiero, 1964) e da poche altre produzioni con trama e caratterizzazioni “tipiche” del genere.
Sergio Leone non fu l’unico regista italiano che fece suo il western, ma probabilmente è il più conosciuto ma sicuramente fu uno dei più capaci nella realizzazione.

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Clint Eastwood in “Per un pugno di dollari”

Nei primi anni ’60 era arrivata a Roma una pellicola chiamata La sfida del Samurai (Yojimbo) di Akira Kurosawa: Leone andò a vederla e rimase parecchio colpito. La visione di essa e lo studio del soggetto giapponese furono di primaria importanza per la realizzazione del suo primo western. Effettivamente la trama viene ripresa quasi totalmente da Yojimbo, tanto che quando Akira Kurosawa  seppe cosa stava succedendo passò direttamente per vie legali.

Ad oggi ancora non si è capito bene se effettivamente la colpa fosse di Leone, dei produttori che non pagarono i diritti a Kurosawa per fare un remake, o di entrambe le parti, fatto sta che Akira aveva ragione e per farlo passare dalla ragione al torto si arrivò a sostenere che Kurosawa si fosse ispirato a sua volta ad un’opera di Goldoni. Kurosawa vinse la causa ed ottenne come risarcimento i diritti esclusivi di distribuzione del film in Giappone, Corea del Sud e Taiwan, nonché il 15% dello sfruttamento commerciale in tutto il mondo.
Sto parlando di Per un pugno di dollari: con le musiche di un suo ex compagno di banco ai tempi delle elementari, Ennio Morricone, con uno strabiliante Clint Eastwood, un attore che sarà sempre grato all’autore italiano tanto da celebrarlo nel film Gli Spietati (a lui e a Don Siegel è dedicato il film), Per un pugno di dollari è uno dei film da vedere almeno una volta nella vita. È ambientato nel Nuovo Messico, con un pistolero come protagonista che si trova in una città di confine fra States e Mexico dove prende parte alla lotta tra le due famiglie dominanti della città: i Rojo commercianti di alcol e i Baxter venditori di armi. Le forze delle due famiglie si equivalgono. Joe decide di vendersi, apparentemente per un pugno di dollari, a entrambe, facendo una sorta di doppio gioco. Il silenzio, le soggettive, i campi lunghi e i primissimi piani sono questi gli ingredienti dal punto di vista tecnico del film.

Il film verrà ripreso da Walter Hill nel suo capolavoro sottovalutato Ancora Vivo – Last Man Standing (1996) con un fenomenale Bruce Willis. Non fu necessario andare in tribunale questa volta ed anzi, Walter Hill ebbe la benedizione di Akira Kurosawa in persona per la realizzazione dell’opera.

Per un pugno di dollari non fu solo un film con Eastwood: fu l’inizio di un’amicizia e l’inizio della trilogia del dollaro. Infatti, nel ’65 uscì Per qualche dollaro in più, nel ’66 Il buono, il brutto e il cattivo.

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C’era una volta il West

Da questo momento Sergio Leone diventa l’emblema del western all’italiana, ma mentre il regista voleva chiudere con il genere, voleva dedicarsi a C’era una volta in America che vedrà la realizzazione nel’84, la Paramount gli chiese di realizzare un western interamente ambientato negli Stati Uniti. Attori Hollywoodiani (Charles Bronson ed Henry Fonda), temi leoniani e la bellissima Claudia Cardinale: C’era una volta il West. Gli eroi del cinema di Leone sembrano usciti dalle tragedie greche, uomini valorosi con le famiglie massacrate, figure in cerca di vendetta vestite da cowboy. Il suo è un cinema di silenzi, di movimenti macchina articolari, un cinema che si prende il suo tempo: tanto che negli anni è stato definito un  “autore barocco”. Non ha mai rifiutato questo titolo, specificando però che

Se per barocco si intende una pienezza dei ritmi, di composizione, di emozioni, allora posso anche accettare la definizione.

Dai pistoleri spietati ai gangster il passo è brevissimo e nell’84 Sergio Leone diresse C’era una volta in America (nel ’73 tornò ad essere aiuto regista per lavorare con Henry Fonda nel film di Tonino Valeri Il mio nome è nessuno).
C’era una volta in America è un film che segue nell’arco di più di quarant’anni il criminale David Aaronson detto Noodles. Ambientato nella New York criminale degli anni Venti, Trenta e Sessanta, è uno dei lavori più importanti della filmografia di Leone nonché un vero capolavoro della storia del cinema. Ad essere analizzata non è solo la vita del personaggio interpretato da Robert De Niro ma anche dei suoi coetanei, dei bambini che crescono nel ghetto ebraico e che, nell’era del proibizionismo, entrano nella malavita newyorchese.

La sua ultima sceneggiatura è firmata per un esordiente Carlo Verdone, per il film Troppo Forte con uno degli attori feticcio di Leone: Mario Brega. Guardando oggi l’operato di Verdone è un peccato che non abbia mai fatto sua l’eredità leoniana visto che Sergio Leone in vita considerava Carlo il suo figlioccio ed esigeva che lo chiamasse “padrino”.

Sergio Leone fu un regista diviso in due, da un lato guardava all’America, dall’altro guardava all’Italia. Fu un regista capace di amalgamare le lezioni di cinema muto insegnategli da suo padre che riguardavano l’essenzialità dei gesti e il significato dei silenzi, le nuove metafore neorealiste sui dettagli e sulle facce, alla tecnica hollywoodiana appresa dai grandi registi americani.

Massimiliano Romualdi per 9ArtCorsoComo9