Chi di noi non ha negli occhi l’abilità manuale, la maestria osiamo dire, di Homer Simpson quando maneggia le barre di uranio? O quello tra lo smarrito ed il terrorizzato quando è di fronte alla console di controllo della centrale nucleare? Ecco, quella è l’espressione che, in un mondo ideale, dovrebbe avere un critico cosciente quando si accinga a metter mano ad un Grande Classico come La coscienza di Zeno.

I Grandi Classici - La coscienza di Zeno, memorie del tempo inutile (e inetto)
Antica edizione del romanzo

Perché è persino pleonastico dire che è difficile riassumere il corpus di tematiche che affolla un’opera universale come La Coscienza di Zeno: altrettanto difficile è riassumere le molteplici sfaccettature che anche una sola tematica presenta nell’opera principe di Italo Svevo, che comunque si compenetrano le une nelle altre. Ossia, se è innegabile che il Tempo, che di per sé è una tematica archetipica, è onnipresente nella storia di Zeno Cosini, è altrettanto evidente che addirittura al lettore comune (per non dire del lettore professionale o critico) non possono sfuggire le correlazioni, ad esempio tra tempo e fumo, tra tempo e psicanalisi e, per la proprietà transitiva, anche tra quest’ultima e il fumo.

Ecco allora che, per poterla maneggiare, questa bomba letteraria e concettuale, ci si rende necessario farla a pezzi, dissezionarla, focalizzare lo sguardo su un aspetto alla volta che, intersecandosi con gli altri, ci renda possibile poi cogliere uno sguardo d’insieme. Ed è un’operazione lecita, perché il libro stesso è costruito secondo sezioni blindate, capitoli tematici per mettere ordine nel pensiero di Zeno Cosini: una suddivisione, però, che serve anche a negare la continuità del fluire della vita, vista al contrario come una serie di compartimenti stagni che si possono chiudere e a cui, se necessario, si può accedere, ma senza troppa partecipazione.

Perché, come in una sorta di comodo incubo senza angoscia, Zeno Cosini trascorre un’esistenza di cui in fondo gli importa ben poco, che non sente nemmeno sua, così come il tempo che scorre solo in apparenza, ché Zeno è imprigionato in un tempo che non vale la pena di essere vissuto, esemplificazione perfetta dell’inettitudine. In un gioco perverso con se stesso, Zeno si dichiara inetto a superare i propri limiti e si ritrova, ben prima della psicanalisi, a “giocar con la mente e i suoi tarli”:

Adesso che son qui ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mie incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei diventato l’uomo ideale e forte che mi aspettavo?

Il critico davanti a La Coscienza di Zeno

La triplice interazione tra fumo, psicanalisi e tempo si presenta già all’incipit de La Coscienza di Zeno, e con essa anche l’inettitudine: alla “cura” del fumo viene applicata la metodologia per la cura delle nevrosi secondo le teorie freudiane, che vanno alla ricerca delle origini della malattia per giungerne alla risoluzione. Se nella pratica freudiana la scoperta dell’origine della nevrosi non è di per sé garanzia di guarigione, dall’altro la volontà di guarire sarebbe fondamentale: ma Zeno, giunto verso la fine della sua esistenza, non ha realmente intenzione di guarire, in quanto la malattia del fumo ed i tentativi di liberarsene costituiscono in fondo la vera essenza, la natura e la cifra stilistica della sua vita, la sua natura più autentica.

La coscienza di Zeno, memorie del tempo inutile (e inetto)
Fumo e psicanalisi, zenit e nadir della Coscienza

La Coscienza di Zeno mette in discussione il tempo come valore, partendo dal non valore del tempo di Zeno, contrapposizione virtuale all’odioso concetto di tempo di qualità del marketing zen odierno: ancora, però, dobbiamo allargare il discorso, perché tale posizione è ottenuta da Svevo attraverso il perseguimento costante della tematica principale, quella dell’inettitudine. Come noto, Svevo è affascinato dalla figura dell’inetto, inteso come inetto a vivere, che è il tratto distintivo di Zeno Cosini: Zeno (nome dall’assonanza quasi inquietante con “zero”, il nulla) vive a caso pressoché tutta l’esistenza baloccandosi tra velleitarismo, ma il giudizio dell’inutilità dell’esistenza è un’espressione di Zeno Cosini o è una sorta di innesto di un Super-Io di stampo borghese che prende piede in un’ottica sociologica? Dal punto di vista borghese, l’inettitudine di Zeno è un peccato mortale, per una società, o meglio una classe sociale, chiusa come una casta e che ha un orizzonte di valori (non osiamo definirli compiutamente “morali”) fondati sulla produttività, sull’efficienza, sulla ricchezza materiale.

Zeno persiste nel baloccarsi coi dubbi:

Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio, perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente.

Letteratura, musica, poesia, riempiranno poi pagine e pagine di personaggi cristallizzati nell’inettitudine, incapacitati ad agire: in principio fu il kafkiano protagonista di Davanti alla legge, poi gli sfiduciati, autoreferenziali, nauseati, indignati personaggi da Sartre e Camus fino a Bukowski e Kerouac per finire con Houllebecq, Ellis, McEwan and so on. Ma qualcosa rende unico l’inetto Zeno Cosini? Questo personaggio che comunque chiosa sempre in negativo esistenzialista – nichilista «Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione».

Il romanzo termina con un capitolo blindato dal titolo Psico-analisi: la conclusione definitiva mostra, in modo stupefacente, una previsione sulla fine della Terra:

Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri… inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo, fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato… s’arrampicherà al centro della Terra dove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la Terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.

La coscienza di Zeno, memorie del tempo inutile (e inetto)
Italo Svevo

Quindi, l’orrore della Prima Guerra Mondiale con la sua feroce innovazione dell’uso dei gas bellici, la natura dell’uomo “capace di ogni nequizia” per dirla alla Conrad, la banalità del male, la profezia/previsione di una invenzione bellica capace di annientare la Terra in un colpo solo oltre 20 anni prima di Hiroshima, la visione dell’essere umano come parassita: sono tutte queste tematiche, geniali, innovative, che innestate sul protagonista ne fanno un personaggio unico ed indimenticabile?

Certamente, ma non solo e non soprattutto: ciò che rende Zeno Cosini una figura unica rispetto alla letteratura mondiale è che tutto quanto sopra viene elaborato sotto il segno di un sovrano distacco, di una totale noncuranza, messa splendidamente in evidenza dallo stile piatto, chirurgico, preciso, descrittivo e completamente asettico. Molti lustri prima di Moravia, il segno distintivo superiore di Zeno Cosini, inetto per antonomasia, e de La Coscienza di Zeno è in realtà l’indifferenza.

Vieri Peroncini per MIfacciodiCultura