A oltre novant’anni dalla morte di Rainer Maria Rilke (Praga, 4 dicembre 1875 – Montreux, 29 dicembre 1926) può essere interessante ricordare la sua opera più famosa, che l’ha reso un grande pensatore europeo e «un poeta di rara forza introspettiva e sensibilità spirituale», come viene riportato nell’ edizione di Lettere a un giovane poeta, Qiqajon, a cura della comunità monastica di Bose. Proprio il priore della comunità Enzo Bianchi, grande personalità di spicco nel nostro panorama religioso e laico, scrivendo la prefazione del testo, invita a pensare come le pagine scritte da Rilke siano un vero e proprio dono di amicizia, efficaci a far brillare in ogni persona la luce della propria originalità così da essere capaci di cogliere la bellezza che sta intorno a noi.

rilke 2Non si tratta del consueto moralismo o del banale citazionismo dire di fare della propria vita un capolavoro. Non in questo caso. Perché l’autore austriaco parla di un giovane ad un giovane, che ancora sta costruendo la propria strada, che certo solo dai primi passi non può essere un capolavoro, perché troppo grezza, arida, insicura. Rilke si rivolge a Kappus, desideroso di intraprendere un’ardua carriera poetica, come Seneca si rivolgeva a Lucilio. Il suo stile è incisivo, concitato, essenziale, retorico. Ma è la verità, l’animo stesso a trapelare dalle sue parole, non i soliti luoghi comuni sull’educazione dell’uomo. Seneca ha scritto «Rivendica te tibi», Rilke scrive «vada in se stesso, esplori la ragione di fondo che La chiama a scrivere. Si chieda, nelle ore più silenziose della Sua notte: io devo scrivere? E se dovrà risuonare un sì, allora edifichi la Sua vita su questa urgenza».
Non avrebbe potuto essere più mirato nella sua risposta, e allo stesso tempo più poetico. Perché se la poesia deve sì risuonare nel buio più profondo che avvolge l’uomo, perché non mettere subito in chiaro le cose?

Rilke ci fa capire come la poesia sia preziosità, introspezione, solitudine, malinconia, cura, necessità. Probabilmente ognuno di questi termini meriterebbe di essere approfondito singolarmente, ma il concetto di base è facilmente definibile: la poesia nasce da un bisogno che si concretizza nel mettere la luce su ciò che prima si riteneva insignificante, e a un tratto non lo è più, perché le cose, grazie alla creatività, diventano profonde.

In tutta la raccolta di lettere è il sentimento dell’amore a far scaturire l’essenziale: è per amore delle parole che si scrive, per amore dei libri che ci insegnano la vita e la bellezza che si è incentivati a continuare, è per amore delle persone che abbiamo accanto che questi versi vogliono essere tramandati. Rilke ammette come «le opere d’arte appartengano a una solitudine senza fine», ma come «solo l’amore possa stringerle a sé», per renderle immensamente vive. Paradossalmente quanto di più meraviglioso esista al mondo a volte risulta indicibile. Questo perché la bellezza nasconde in sé una delicatezza che viene urtata forse troppo violentemente dal caos delle emozioni umane, e ciò ricorda il sublime dei paesaggi romantici.

rilke 3Rilke sa esprimere la dolcezza nel dire che uomo e donna prima o poi si incontreranno nella loro totalità non per il desiderio dell’opposto, ma solo in quanto esseri umani e quindi vicini e complementari in base alla loro essenza primaria, come sa esprimere una certa durezza, ammettendo che l’uomo, nella sua condizione generale, resterà sempre solo, terribilmente, senza mai sciogliere definitivamente il suo vuoto, essendo perfettamente consapevole della sua mancanza.

Ma i punti dove Rilke raggiunge il suo apice di intensità poetica e di insegnamento umano sono i moniti che consegna a Kappus sull’essere giovani e sull’amore, anche se non siamo istintivamente d’accordo su tutto quanto proclama. Due concetti che sono assolutamente legati l’uno all’altro, perché sono prove difficili, sono fatiche che si sciolgono col tempo, che si devono imparare. Non vengono da sole. Non si conoscono già. Solo l’esperienza ne porta una maggiore comprensione. Rilke pensa che non sia bene che due innamorati si abbandonino completamente per camminare insieme, perché sotto di loro non c’è un terreno che li tenga saldi. Dalla loro unità nasce la discordia a causa del loro stesso disordine. Perciò il poeta ammette che l’amore profondo bisogna meritarselo, raccogliendo per esso, essendo pazienti e concentrati su di sé, arrivando a capire che «vivere significa trasformarsi in se stessi», e che il destino non è altro che «un meraviglioso, vasto tessuto dove ciascun filo è posto accanto all’altro ed è trattenuto e sorretto da centinaia di altri».

 

Francesca Bertuglia per MIfacciodiCultura