Robin Williams era mio amico. Robin Williams è mio amico, uno di quegli amici che puoi chiamare ogni volta che ti gira, di quelli che non esistono: e invece lui c’è sempre, sempre uguale a seconda di quel che ti serve, non bello, tozzo anche, di una bellezza che non si vede esattamente con gli occhi, con quegli occhi azzurri guizzanti di ironia intelligenza e tanta tanta malinconia, con quella increspatura della bocca che altri chiamerebbero sorriso e invece non è solo quello, è una piega agrodolce che hanno quelli che vedono la Vastità del Nulla, l’Assurdità del Tutto, l’Inutilità del Mondo.

A colloquio con Orson

Abbiamo avuto la fortuna di averlo avuto su questo pianeta per 63 anni, ufficialmente nato il 21 luglio 1951 a Chicago e morto con una corda al cielo che, chissà, gli sarà magari sembrata divertente, sicuramente ironica ché per impiccagione morivano i ladri mentre lui ci ha dato così tanto, quando ha deciso che dopo aver lottato contro il Parkinson e la demenza a corpi di Lewy, poteva anche bastare così, l’11 agosto del 2014, a Paradise Cay.

Sapeva certamente che ci sarebbe mancato quando se ne fosse andato, Robin, con quel suo nome da pettirosso, e che lo avremmo tenuto nel cuore a lungo, almeno secondo criteri terrestri. Sapeva anche che noi gli saremmo mancati, anche se non ce lo meritavamo: perché Robin Williams era arrivato, e nato per davvero, su un uovo, simbolo dell’anima, da Ork, a cercare in tutti i modi di farci capire, coi suoi dialoghi stralunati, fintamente ingenui, con Mindy e Orson, leggeri ma sempre più malinconici, quanto assurdo sia il nostro mondo di crudeltà, guerre, conformismi, oppressioni, idiosincrasie, rivalità, angherie, vanità.

Non abbiamo capito, quello che ci diceva Mork. E allora Robin Williams ha dovuto caricarsi il mondo sulle spalle: Il mondo secondo Garp, dopo gli studi alla Juillard School of New York, riuscendo a sopravvivere al devastante impatto di un film tratto da un romanzo di John Irving che nel 1982 portava sullo schermo addirittura una fellatio adulterina che termina con un’amputazione quasi cannibalistica. Era il 1982, dicevamo: la serie con Mindy e l’invisibile protagonista Orson terminava, usciva Il mondo secondo Garp (che come romanzo aveva consacrato Irving), e Robin Williams si avviava a diventare per sempre nostro amico, uomo sensibile, amico fragile.

In Will Hunting, film da Oscar

È stato un attore, Robin Williams? Sì, certamente: di quelli veri, che sanno recitare e ci sospendono l’incredulità perché sentono tutto. Sentono troppo forte. Hanno un muscolo cardioemotivo ipertrofico e le emozioni, soprattutto quelle tristi, rimbalzano nelle pareti del loro cuore come l’eco in una caverna, come le onde di un sasso nello stagno, ed i sassi sono tanti, e le onde interagiscono, e si propagano, e non calamo mai di intensità, anzi, aumentano sempre, e sempre. Recitava, Robin Williams quando nei panni del nostro amico, il professor Keating, si è preso la testa tra le mani ed ha pianto disperato per il suicidio di Neil ne L’attimo fuggente? No, certamente no: perché il mio amico Robin sapeva che Neil Perry potrà anche essere un personaggio romanzesco, ma ne sono esistiti di Neil Perry e ancora ne esistono e sempre ne esisteranno, e giuste sono le lacrime per loro e per tutti quelli che lottano per esistere, anche scegliendo di morire.

Così, Robin Williams ha cantato la ricerca della felicità, della libertà di esistere ed essere se stessi, di essere veramente, pienamente uomini, e noi oggi possiamo chiamarlo quando vogliamo e chiedergli di spiegarci qualche dettaglio che non abbiamo capito bene, stolti ed insensibili come siamo: e lui arriva, e ci spiega l’amore parlandoci delle scorregge della moglie in Will Hunting, che gli regalò un Oscar (solo uno, grandi Déi del cinema!), ci parla della perdita dell’innocenza in Hook, ci spiega perché per essere uomini dobbiamo essere empatici col naso da clown di Patch Adams. Ancora, a noi folli nostalgici della commedia brillante all’americana, quella di James Stewart e Doris Day per intenderci, spiega perché i figli sono quelle persone per cui siamo disposti a rinunciare a tutto, anche a noi stessi, e lo fa vestendo i panni di Mrs. Doubtfire; ci mostra i livelli di disagio mentale a cui può portare la solitudine in One Hour Photo, ci agghiaccia con la terribile ordinarietà del male in Insomnia.

Alla testa dei Bimbi Sperduti

Siamo straordinariamente fortunati, diciamocelo, perché possiamo in qualsiasi momento chiamare a raccolta i bimbi sperduti ma anche l’esercito dei giocattoli dello stralunato Leslie Zevo, incredulo di fronte all’assurda malvagità dei giocattoli di guerra di Toys: e tra Hamlet e il barone di Münchausen, tra Risvegli ed Harry a pezzi, tra La Leggenda del Re Pescatore e Jumanji, Al di là dei sogni con Jakob il bugiardo, Uomo dell’anno o Maggiordomo alla Casa Bianca si snoda il percorso straordinario di Robin Williams tra 60 lavori al cinema, più teatro e televisione, con compagni di viaggio come Woody Allen, Reitman, Van Sant, Levinson, Weir, Gilliam, Spielberg, Columbus, Branagh, Coppola.

Si snoda il discorso di Adrian Cronauer ed il suo essere contro finché gli lasciano la voce, e anche oltre, Bertrand Russell in salsa vietnamita: perché il messaggio che ci lascia quel pettirosso di Robin Williams è lo stesso, da Good Morining Vietnam a L’uomo bicentenario, è sempre lo stesso: essere uomini può essere una bella cosa, ma bisogna lottare – e ne vale la pena – per meritarsi l’appellativo di essere umano a pieno titolo: parola di Andrew Martin.

Guardare le cose da un altro punto di vista

Certo, essere uomini così è dura, è come vivere a Synecdoche, New York, e non riuscire a superare la condanna del proprio cuore, e magari capita di cercare rifugio, come tanti, dentro la bottiglia, contro le emozioni che travolgono e non mollano mai. Ecco perché quando ne esci e ti ritrovi addosso due malattie che ti stanno disintegrando, che ti avrebbero lasciato forse un paio d’anni di una vita senza la tua sensibilità ed il tuo meraviglioso cervello e decidi che no, non è proprio il caso, tua moglie Susan capisce e approva la tua scelta di andartene, e ti definisce giustamente «l’uomo più coraggioso che abbia mai conosciuto».

Lo so che giunti al termine di questa nostra vita tutti noi ci ritroviamo a ricordare i bei momenti e dimenticare quelli meno belli, e ci ritroviamo a pensare al futuro. Cominciamo a preoccuparci e pensare: «Io che cosa farò? Chissà dove sarò da qui a dieci anni?»… Vi prego, non preoccupatevi tanto, perché a nessuno di noi è dato soggiornare tanto su questa terra. La vita ci sfugge via e se per caso sarete depressi, alzate lo sguardo al cielo d’estate con le stelle sparpagliate nella notte vellutata, quando una stella cadente sfreccerà nell’oscurità della notte col suo bagliore, esprimente un desiderio e pensate a me. Fate che la vostra vita sia spettacolare.

Jack, di F.F. Coppola

Na-no na-no, Mork.

Vieri Peroncini per MIfacciodiCultura