Ci sono due figure, vicine ma non si toccano. Il contorno dorato di quella destra china la testa sulla spalle di quella a sinistra, ricordando la fisionomia de Les Amants, opera di René Magritte del 1928. Postuma (1936) è l’opera di Salvador Dalì Coppia con le teste piene di nuvole, e al solo osservarla s’inte molto sul ruolo sagace della fantasia e sull’importanza delle fantasmagoriche allucinazioni visive che solo l’immaginazione può regalare.

È senza involucro esterno, che però ha poca importanza, che i due personaggi senza volto Gala Éluard e Salvador Dalì, si presentano. Eppure, oltre l’apparente stilizzazione estrema, il rigorismo riassuntivo lascia spazio alla frammentarietà colorata, e all’interno dei due amanti esplode un tripudio di colorazioni giallo chartreuse. Lo sfondo di entrambe le sagome è Port Lligat, sopra al quale si erge un cielo cinereo contornato da nuvole pallide. Un velo di pensiero animato in forma di polvere genera alcuni spruzzi sui monsoni, per poi disperdersi nel cielo e sul manto del mare, sul quale galleggiano placidamente alcune barche addormentate. In primo piano figurano due tavoli con tovaglia, quello di Gala leggermente più piccolo rispetto a Dalì. Sopra entrambi, sono adagiati alcuni oggetti feticcio: c’è un bicchiere con all’interno un cucchiaino e un peso da bilancia, mentre a destra compare un grappolo d’uva corvino.

Le pieghe della tovaglia bianca fanno da pendant con la quiete sommessa dello sfondo, e racchiudono una visione che converge quasi identica nei due amanti, che divergono leggermente nella personalizzazione dello spazio avvertito come proprio. In quegli anni, Dalì stava vendendo bene in America, oltre ad avere incontrato il collezionista Edward F. W. James, il quale gli aveva comprato diverse opere, tra cui Coppia con le teste piene di nuvole. Un periodo fecondo che dunque alimentò ancor più le sue fantasie e le speranze, i desideri di inquadrare uno scenario reale senza eccessive congetture, per poi traslarli su tela nella maniera più sincera possibile. Con quella stessa dovizia eccentricamente trasognata che solo lo sguardo interiore, realmente simile, di due contorni d’uomo innamorati, può restituire .

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