Luca Carboni: un cantautore ragazzino e l’amore per la sua città

Chi l’avrebbe mai detto che mischiando un accento bolognese spiccato e un sottofondo new wave da Tears of Fears sarebbe uscito un pezzo come questo? È quello che mi sono chiesto ascoltando uno dei primi successi di Luca Carboni, Ci stiamo sbagliando.

Luca Carboni

Il motivo per cui questo singolo lo aiutò a farsi strada nel mondo della musica non è solo perché l’anno di uscita era il 1984, un anno dopo lo scioglimento dei Police, due anni di distanza da singoli come Mad World e Pale Shelter. In realtà da qualche anno Bologna stava vivendo una grande evoluzione, da città di osterie alla Guccini, a capitale italiana di quella corrente poco definita che nasceva dal desiderio di cambiare rotta dopo il periodo punk. Certo, Carboni non ha mai nascosto il suo debito nei confronti della canzone italiana, annoverando tra le sue influenze De Gregori, Battisti e il sopracitato cantautore bolognese,tuttavia è chiaro fin da subito il desiderio di cambiare, soprattutto l’accompagnamento ai testi.

L’album di Ci siamo sbagliando venne prodotto con l’aiuto di Curreri, cantante degli Stadio (per cui il cantautore alle prime armi aveva già scritto un pezzo) Ron e Dalla. Dopo il tour di quell’anno, Carboni torna in studio per registrare Forever, e due anni dopo pubblica il suo terzo lavoro, Luca Carboni. Il suo successo cresce anche perché maturano i suoi testi, che sebbene non vengano capiti fino in fondo, perché possono essere facilmente scambiati per canzoncine commerciali, dicono molto sul mondo giovanile. Silvia lo sai, ad esempio, affronta in modo toccante il tema della tossicodipendenza. Anche in questo caso è facile notare un rapporto stretto con la città di Bologna e le sue influenze culturali: il giovanilismo era esploso anche in letteratura, grazie all’opera di Pier Vittorio Tondelli, ad esempio.

Certo, magari quest’ultimo paragone è tirato un po’ troppo per i capelli, e infatti brani come Farfallina, nonostante il loro successo, personalmente li trovo un po’ corrivi, ma da questo momento in poi saranno sempre più rari. Esce, infatti, nel 1989 Persone silenziose, che mostra un’inversione di tendenza rispetto ai precedenti e abbandona, per il momento, i temi legati al mondo adolescenziale, per dare un messaggio più sociale e politico.  La title track di quest’album calza a pennello con il proposito del cantautore, che era appunto quello di non parlare per un grande pubblico e dedicarsi ai più umili: lo si capisce dal testo semplice e immediato. Ormai però la strada del successo è spalancata e l’album vende comunque centinaia di migliaia di copie. L’album Carboni arriva al culmine di vendite, e consacra definitivamente il musicista bolognese come uno dei più popolari in Italia; il merito è per la maggior parte di canzoni come Mare mare, vero e proprio tormentone estivo che ancora oggi viene mandato in radio tra giugno e settembre, e Ci vuole un fisico bestiale. Quest’ultima, senza dubbio un grande successo, testimonia anche la novità di questo disco, che non è più pensato per rimanere una chicca un po’ sconosciuta come Persone silenziose, ma credo anche che ciò valga come novità e segni la svolta definitiva verso una maturità. «Ci vuole un fisico bestiale, perché siamo barche in mezzo al mare» difficilmente si poteva adattare ai precedenti pezzi, nei quali invece egli cercava sempre di parlare di esperienze comuni a tutti i giovani degli anni ’80-’90, il suo pubblico.

Questa maturità si vede soprattutto nel riconoscere di appartenere ad una città. Non possiamo non citarla, come abbiamo già fatto, la sua Bologna, per comprendere l’evoluzione artistica di Carboni. La mia città è un pezzo che, nonostante nasca come canzone d’amore, manifesta proprio la coscienza di appartenere al capoluogo emiliano:

La mia città, senza pietà, la mia città
ma come è bella la mattina
quando si accende, quando si sveglia
e ricominciano i rumori
promette tante cose. 

La sentirà ancora sua, questa città, per tutta la carriera: emblematico in questo senso Bologna è una regola, singolo del 2016. Effettivamente è stata una regola che si è imposto Carboni stesso quella di imitare la vitalità e la freschezza di una Bologna che ancora oggi  rappresenta un simbolo della sottocultura giovanile in Italia.

Daniele Rigamonti per MIfacciodiCultura