Anche se indirettamente, i colori acquistano sempre una valenza simbolica molto forte e ci arricchiscono la vita. Dalle favole per bambini, come Biancaneve o Cappuccetto rosso, ai romanzi più impegnati come Le Rouge et le Noir di Stendhal, in storia e, ovviamente, psicologia.

Il principe azzurro è bello, buono, bravo, irreale. In francese è Prince Charmant, in inglese Prince Charming: incantevole, come gli compete, ma non colorato. Per i tedeschi è Märchenprinzen (principe della fiaba) e per gli ispanici Principe encantador. Nessun’altro Paese intinge il pennello per tratteggiarlo: esclusiva tutta italiana.

Secondo l’opinione popolare l’azzurro sarebbe un’identificazione veloce del genere maschile/blu contrapposto a quello femminile/rosa. Altri hanno trovato un richiamo all’aspetto celestiale: etereo come il cielo (tra cui i sogni ed una spiritualità perfetta). C’era anche il detto che i nobili avessero il sangue blu, da cui potrebbe derivarne l’appellativo. In quest’ottica, lo studioso Bernard Delmay (in Usi e difese della lingua, 1990) aveva interpretato il colore come segno distintivo della casata di Savoia, di cui conserviamo ancora oggi la livrea ufficiale (per esempio nel valor militare, divisa degli ufficiali in alta tenuta o nelle sq nazionali come ai mondiali di calcio). Amedeo VI e Amedeo VII, erano il Conte Verde ed il Conte Rosso, per alcuni capi di vestiario indossati. Vittorio Emanuele, invece, fu soprannominato il principe azzurro proprio perché in quella tinta si presentò per la prima volta alla futura sposa.

Nel 1904 il primo film italiano intitolato il Principe Azzurro; poco dopo, nel 1910 il commediografo Sabatino Lopez rappresentò un lavoro omonimo. Paolo Zolli, insigne linguista e accademico presso l’Università di Udine e Venezia, era rimasto sorpreso dal fatto che non esistessero tracce letterarie del principe azzurro prima del 1907 (Guido Gozzano, La Via del Rifugio: “… lo sposo promesso: il Principe Azzurro, lo sposo dei sogni sognati …”). Si pensò, quindi, ad un’influenza rumena dal Fat Frumos, personaggio fiabesco creato dal poeta Eminescu, la cui traduzione è però ‘ragazzo bello’ (P. Zolli, Che il Principe Azzurro sia stato Vittorio Emanuele?, “Messaggero veneto”, 1982). Paolo D’Achille, professore di Linguistica italiana presso l’Università Roma Tre e Presidente della SILFI (Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana), riscontrò che l’espressione sarebbe stata presente in alcuni testi di fine Ottocento. Nella Francia Ottocentesca, infatti, comparivano le espressioni prince Azur e prince Bleu, poi perse, ma sedimentate contemporaneamente in italiano e spagnolo con encantador e azul

La ripresa poetica ha assunto sempre più un significato simbolico, arrivando alla sovrapposizione quasi totale con l’ideale/perfetto. Azzurro, cioè chiaro, tendenzialmente trasparente e quindi onesto e rassicurante. Caratteristica ricercata per qualsiasi tipo di partner e per questo estendibile anche al genere femminile, come diventa, per esempio, la fata turchina.

Charlotte, tesoro, non pensi che forse siamo noi i principi azzurri e che siamo noi che dobbiamo salvarci da sole? E se il principe azzurro non fosse mai arrivato? Biancaneve avrebbe dormito per sempre nella sua bara di cristallo? O dopo un po’ si sarebbe svegliata, avrebbe sputato la mela, trovato un lavoro, sottoscritto un’assicurazione sanitaria e fatto un bambino grazie alla locale banca dello sperma? Non potevo non chiedermelo: dentro ogni donna single, determinata e sicura di sé, c’è una delicata e fragile principessa che aspetta di essere salvata? Aveva ragione Charlotte? Le donne vogliono solo essere salvate? (Sex and the City)

Emma Marcegaglia, durante la sua presidenza in Confindustria, aveva sottolineato le equivocità dello stereotipo: “il problema parte fin da piccoli con le favole che sono piene di streghe cattive e di oche come Biancaneve e Cenerentola, che sognano e rincorrono il Principe azzurro”.

Solo recentemente, si sono rovesciate le prospettive, per esempio in Shrek, l’orco cicciottone vince con la sua simpatia su un Principe Azzurro sgradevole, che arriva all’amata tramite inganni e giochi scorretti.

Eppure, il mercato reclama principi perfetti e fanciulle addormentate: nel merchandising le principesse (classiche), rese immortali dai cartoon Disney, continuano a battere Guerre Stellari e tutti i super eroi della Marvel. Solo nel Nord America, Cenerentola, Biancaneve e co. fatturano 1,5 miliardi di dollari l’anno e 3 miliardi a livello globale (classifiche Licensing Letter, Sole24Ore – 2014).

Oggi, il cavallino bianco al trotto viene facilmente rimpiazzato da quello rampante su carrozzeria rossa, ma resiste, su entrambi i fronti, la continua ricerca del migliore, senza troppo impegno per conoscersi bene e mantenere vivo il rapporto. Azzurro è una figura irreale, mai definito nei suoi tratti salienti: di lui non si sa quali interessi possa avere, se lavora o se è disordinato, cosa gli piace preparare per cena, nemmeno il suo nome. Nella sua perfezione è piatto e statico, manca una caratterizzazione e contestualizzazione che lo renda umano. Giunge a fine fiaba, quando ormai la dinamica si è adempiuta, con evoluzione di eventi e personaggi. Il difficile, però, è restare ed esserci.

Perché, allora, non inserire nelle favole un eroe che sia a tutto tondo?

Il principe è lontano e sfuocato, scontrandosi, inevitabilmente, con un uomo concreto che ha un passato, tante cicatrici, la capacità di farsi da solo e di fronteggiare i problemi. Un moderno cavaliere nero, più carismatico e affascinante. Una persona dura, quasi spigolosa e con una corazza spessa. Anticonformista, sicuro, che difende i valori in cui crede e gli affetti non pubblicizzati. Dentro di sé ha anche segreti e sofferenze. Temprato, solido, d’onore. E’ questo il partner ideale col quale dividere le proprie amarezze, a cui confessare i propri dolori, perché sa cosa vuol dire stare male. E avrà una soluzione (Franco Califano).

Certo, non sempre è possibile trasformare tutti nel giallissimo Homer Simpson, dalla panzetta pronunciata e sparuti ciuffetti di capelli, ma si potrebbe valutare l’idea di superare e rielaborare le famose tinte celestine.

La vita è fatta di infinite sfumature e ognuno di noi ne intercetta qualcuna.

 

Fuck Pirlott, let’s rock

Lara Farinon per MifacciodiCultura