Approssimazioni, viscerali e puramente dialettiche approssimazioni: ecco quel che si può dire del De Profundis di Oscar Wilde. Non che non lo si possa comprendere, perchè il fil rouge mentale che segue la lunga lettera scritta al giovane amante Bosie (Lord Alfred Douglas) dalla prigione di Reading scorre bene, con ampi richiami alla letteratura, alla filosofia nonchè alla religione. Ma non è questo il punto. La contraddittorietà con cui l’amore di Wilde dà e riceve, lo sbilanciamento, la fiducia e le crisi continue tra il proprio ego e il dialogo immaginario con quello altrui (Bosie non si recò mai in carcere a trovare Wilde, nemmeno una volta), questi sono i soggetti. E c’è poco da trovarci un ordine, è quasi un insulto trovarlo, anche perchè

Ricorda che mi resta ancora da conoscerti. Forse a entrambi, resta da conoscerci a vicenda […] Non aver paura del passato. Se qualcuno ti dirà che esso è irrevocabile, non credergli. Passato, presente e futuro non sono che un attimo della visione di Dio, al cui cospetto dovremmo cercare di vivere. Tempo e spazio, successione ed estensione, sono soltanto condizioni accidentali del Pensiero: l’immaginazione può trascenderle e portarle in una libera sfera di esistenze ideali (Oscar Wilde, De Profundis, gennaio-marzo 1897, edizione Feltrinelli)

L’immaginazione, dunque, è l’unico dovere che è propria responsabilità accudire, quasi fosse la rosa del Piccolo Principe. Più tempo le si dedica, più i frutti saranno rossi, succosi ed esteticamente originali. Come dandy e pittoresco fu Dorian Gray, così le lune ghiacciate, le primule bianche e il candore delle foreste ingiallite menzionate nel De Profundis testimoniano l’attaccamento di Wilde al bello. Che risiede negli involucri, nelle striature dei riccioli dorati di un fanciullo ma anche nelle luci di un pomeriggio di primavera quando sbocciano gladiole, o la bianca neve nel giardino del Gigante egoista. Ma è anche bellezza interiore, che pur dentro una cella ove fuori attendono i lavori forzati, tenta di aggrapparsi alle riflessioni sul bello di ieri pur di non soccombere. Eppure è così che, col metodo della prigione, avendo a che fare col solo ricordo del Bello, si finisce per fare la conoscenza del Dolore.

Bellezza e Dolore camminano per mano dicendosi la medesima cosa

Bosie con la terribile alchimia dell’egoismo fu la rovina emotiva di Oscar Wilde. Oscar Wilde si creò la sua rovina intentando causa al padre di Bosie. Non spettava a lui farlo, come saggiamente gli consigliò l’amico Robert Ross, le cui ceneri riposano oggi insieme a quelle del poeta inglese. Wilde dilapidò un intero patrimonio ma soprattutto la fama e l’immagine di letterato innamorato del mondo, alla continua scoperta di storie geniali e invenzioni, tra la sacralità violata di Salomè e l’umorismo sottile di L’importanza di chiamarsi Ernesto. Similmente a quanto accadde ad altri preda del condizionamento emotivo, la storia di Douglas, con i numerosi suicidi in famiglia e l’instabilità affettiva col padre e l’incondizionata e malata approvazione della madre, commosse Wilde. Che gli comprò una casa, lo curò (salvo poi essere abbandonato quando accadde a lui di ritrovarsi inerme nel letto con la febbre alta, senza nemmeno acqua e un libro), spese una montagna di soldi per finanziarne i piaceri più sublimi. Se ne staccò solo sul finire della vita, quando sul lastrico e quasi solo, riconobbe che

La maggior parte delle persone non sono se stesse, ma altri. I loro pensieri sono opinioni d’altri; le loro vite, una parodia, le loro passioni, una citazione. […] Non ti venne in mente di essere il vero autore di questa tragedia
La gente meccanica, quella per cui la vita è un’astuta speculazione basata su un attento calcolo di vie e di mezzi, sa sempre dove sta andando: e ci va. E nulla di più. […] È il suo castigo. Chi vuole una maschera è costretto a portarla. Ma con le forze dinamiche della vita, e in coloro che le incarnano, è diverso. Conoscere se stessi, come diceva l’oracolo greco, è necessario: è anzi il primo passo il Sapere. Ma riconoscere che l’animo umano è inconoscibile, questo è il risultato supremo della sapienza. Quando si sia pesato il sole sulla bilancia, misurata la distanza dalla luna e disegnata stella per stella la pianta dei sette cieli, resta ancora da esplorare se stessi.

Isabella Garanzini per MIfacciodiCultura