La trasformazione che sta avvenendo nella nostra cultura è rapida e sempre più tangibile, tanto che oggi siamo solo alla versione 3.0. Forse è ancora troppo presto per poterla analizzare nel profondo, ma i mutamenti scientifico-tecnologici, socio-politici ed etici hanno inciso profondamente sulla costituzione di un differente paradigma socio-culturale. In pochi decenni si è sconvolto tutto. Sembrano lontani anni luce quei giorni in cui si usavano le mappe cartacee per orientarsi, si girava la rotellina del telefono per comporre un numero, e dopo si correva fuori a correre all’aria aperta. Preistoria. Oggi il caffè si prepara da solo, le auto hanno dispositivi futuristici, gli androidi combattono nei territori più impervi ed i droni sorvolano sui nostri tetti.

Il sistema tende ad adattarsi, cercando di rispondere alla necessità del cambiamento.

La cultura è l’accumulo globale di conoscenza e di innovazioni, derivante dalla somma di contributi individuali trasmessi attraverso le generazioni e diffusi al nostro gruppo sociale, che influenza e cambia continuamente la nostra vita. Questo sviluppo è stato reso possibile dalla capacità di comunicazione tra individui dovuta alla maturazione del linguaggio

Luigi L. Cavalli Sforza, 2008

CulturaProprio il linguaggio, caratteristica specifica che permette l’evoluzione umana, viene ricodificato assegnando nuovi valori e contenuti: omperano l’Information and Communication Technologies e la cultura digitale.

Se è vero, come detto da Greenfield e da Smith e Bond, che la cultura si autocostruisce come sistema organizzato di significati condivisi attraverso un processo interattivo, attualmente stiamo vivendo nel momento di transizione tra quelli precedenti e quelli futuri. Questa nuova modernità ha superato confini e differenze, accorciato tempi e distanze. Indubbiamente è portatrice di un progresso generale, che però rende più difficile la costruzione di identità, relazioni, rapporto individuo-comunità.

Appartenere alla stessa cultura significa anche, come sostenuto da Chritssochoou nel 2004, condividere il modo di relazionarsi con la realtà, ossia avere lo stesso sguardo sul mondo e sul suo funzionamento ed averne la consapevolezza: seguendo questo principio siamo giunti all’epoca di un’unica cultura web, l’era della connessione sociale, piuttosto che dei rapporti sociali, spinta anche per interessi politico-economici. Come diceva Orwell in 1984:

Nessuno ha mai visto il Grande Fratello. È un volto sui manifesti, una voce che viene dal teleschermo. Possiamo essere ragionevolmente certi che non morirà mai. Già adesso non si sa con certezza quando sia nato. Il Grande Fratello è il modo in cui il Partito sceglie di mostrarsi al mondo. Ha la funzione di agire da catalizzatore dell’amore, della paura e della venerazione, tutti sentimenti che è più facile provare per una singola persona che per una organizzazione.

Un linguaggio internazionale ed esteso, che trasforma i popoli in cibernauti privi di contenuti e riferimenti: nel ring mediatico del tutti possono commentare tutto, mancano i principi forti della cultura che ci hanno preceduto. Alleggerito lo sforzo per fare calcoli e ricerche, sembra sparito l’interesse verso una maggiore comprensione e conoscenza individuale, proprio ora che potrebbe essere a portata di mano di (quasi) tutti.

Impreparato a tanti repentini e rivoluzionari cambiamenti, l’uomo si è adagiato, lasciando prevalere la parte più passiva e narcisista. Questo è il tempo del minimo sforzo pretendendo tutto, in una prospettiva che solletica l’ego di molti e che trova nel web le più svariate declinazioni. Messa in soffitta l’idea del self-made-man, di impegno e lavoro costanti, la cultura sollecita gli ideali di fama e notorietà sono inseguite come scopo di vita, viste come scorciatoie vincente. Perso in un circolo vizioso, l’uomo sta diventando schiavo di quegli stessi strumenti che avrebbero dovuto migliorarne le condizioni. Si riscopre talmente tanto impegnato nelle sua dimensione virtuale da non vivere più la realtà che lo circonda: la cena moderna è una tavola muta, dove nessuno degna di uno sguardo gli altri commensali perché tutti hanno almeno uno smartphone in mano.

Bauman definiva la nostra come «una società dell’incertezza, modernità liquida, società individualizzata, in cui prevale la perdita di senso e si surfa in superficie. La convergenza tecnologica impone di mostrarsi agli altri, nella continua ricerca di consenso sociale».

Con il venir meno di orizzonti assiologici certi, valori e contenuti condivisi, si destrutturano le fondamenta tradizionali della vita sociale e i fondamenti classici della cultura (stato, religione, famiglia, scuola, lavoro, persona). La sempre più rapida liquefazione delle strutture e delle istituzioni sociali frantuma i tempi e gli spazi comunitari, destrutturano le soggettività. Resta solo la maxi struttura cybernetica, dove gli individui sono sempre più soli, senza un tracciato. Dice Bauman: «Il mondo attorno a noi è tagliuzzato in frammenti scarsamente coordinati, mentre le nostre vite individuali sono frammentate in una serie di episodi mal collegati fra loro». L’universo parallelo del cyber spazio è solo un’illusione di alienazione da sé stessi e dalla propria vita reale.

Eppure rimane la paura legata all’alterità, solo parzialmente camuffata dallo schermo. Chi è l’altro? Quanto potere ha su di me? Chi vince? Manca sempre di più il dialogo. Nel Medioevo, ma anche successivamente, le genti abbandonavano i feudi per spostarsi nei Comuni, o dalle risaie e campagne si rivolgevano verso le città: trasformazioni sociali che diedero vita alla borghesia e a tutti i cambiamenti ambientali, politico-economici che ne derivarono.

Oggi le nuove migrazioni sono rivolte al mondo del web, ancora tutto work in progress e con spazio per chiunque. Una dimensione, però, solo apparentemente futurista, che nel suo modus operandi ricorda molto quello delle piccole tribù primitive, dove occorreva  avere il benestare dei membri della comunità per essere inclusi nel gruppo. La mancanza di comprensione per l’altro e se stessi, nonché la totale assenza di dialogo destrutturano la cultura alla base dell’umanità. Depressioni e suicidi in aumento esponenziale avvertono che i ritmi snaturati portano alla distruzione della specie.

Nausicaa della valle del vento (1984) ma anche Laputa castello nel cielo (2012) del maestro Miyazaki, Stargate la porta delle stelle (1994) e Matrix (1999), per citarne alcuni, rappresentano la distopia tecnologica, dove inesorabilmente si torna all’età della pietra, o quasi.

Fuck Pirlott, let’s rock

Lara Farinon per MIfacciodiCultura