Lorenzo, ritorna, ci serve un nuovo Rinascimento: attualità del Magnifico dei Medici

mediciIl Signor G. si arrabbiava quando gli dicevano che gli italiani sono solo spaghetti e mandolino, ed ai rei in tal senso sbatteva sulla faccia cos’è il Rinascimento: rivendicazione anche giusta, potremmo dire, con un po’ di rammarico e perplessità per il fatto che il nostro indubbiamente miglior periodo per produzione artistica, culturale e per apertura mentale risalga a qualcosa come 5 secoli fa (scarsi, a tener buona la data del 1527 proposta da Bertrand Russell come termine della fase rinascimentale).

Le figure di riferimento, in un sistema di valori di ampiezza e portata come quello rinascimentale, ovviamente non si contano, così come le date di collocazione di inizio e fine sono variabili a seconda delle discipline: se da un lato viene comunemente accettato il 1492 come inizio, data della scoperta dell’America che dà una nuova spinta al Mondo, lo stesso anno coincide con la morte di Lorenzo il Magnifico, l’8 o il 9 di aprile. A prescindere dal fatto che nell’arte viene considerato Rinascimento già il 1302 a cagione delle innovazioni di Giotto, è altresì indubbio che il rinnovamento culturale e scientifico rinascimentale inizi negli ultimi decenni del XV secolo, e che da Firenze esso poi diparta a raggiera nel resto d’Italia e oltre: la “ri-nascita” italica e, successivamente, europea deve quindi molto alla figura del Signore di Firenze.

Da cosa nacque il rinascimento fiorentino? Senza aver la pretesa di produrre qui una trattazione storica, letteraria, artistica o altra natura, possiamo notare innanzitutto che Lorenzo di Piero de’ Medici, detto Lorenzo il Magnifico (Firenze, 1° gennaio 1449 – Careggi, 8 aprile 1492), operò in maniera diametralmente opposta a quella di Trasibulo e Periandro, circondandosi delle menti migliori dell’epoca, uomini del calibro di Poliziano, del Ficino, di Pico della Mirandola e di artisti quali Botticelli e il giovane Michelangelo.

Sarebbe sufficiente questo dato, questa disposizione d’animo, a farci capire quanto diversa fosse la figura del Signore mediceo da quella di un qualsivoglia leader politico odierno legato, per il mantenimento del potere, al fare terra bruciata, intellettualmente parlando, intorno a sé (come appunto i tiranni del mondo ellenico sopra citati). Da tenere presente, naturalmente, che quella del Magnifico non era peraltro una democrazia quale dovrebbe essere, in teoria, la nostra. Nondimeno, e nonostante Lorenzo fosse a sua volta poeta, umanista e scrittore (cosa che nelle persone/personaggi di poco spessore avrebbe potuto indurre una malintesa gelosia), il principio del Rinascimento fiorentino fu quello della libera circolazione delle idee: Firenze, all’epoca, dovette essere una sorta di melting pot dove si tenevano dei brainstorming ante litteram. Oggi, per fare una carriera politica, meno idee proprie si hanno e meglio è, e specialmente i Delfini assomigliano sempre di più ai rettili: si sa, chi striscia non inciampa.

D’altra parte, l’amore per l’arte di Lorenzo fu venata anche di interesse politico, giacché la diffusione di opere e artisti fiorentini non faceva che accrescere l’immagine della città quale novella Atene, e pertanto un’aura di prestigio e solidità. Con questo ovviamente non vogliamo dire che l’interesse laurenziano per l’arte non fosse sincero: lo testimoniano le sue opere letterarie, dapprima lirica-cortese, poi più impegnata, infine più variegata ma contenente quella Canzona di Bacco che col suo verso-ritornello quasi ossessivo «Chi vuol esser lieto, sia, di doman non c’è certezza» (spesso leggermente storpiato).

Per quanto il corpus laurenziano sia generalmente considerato di buon livello, ma solamente borderline rispetto ad un poeta “professionale” (d’altronde, gli impegni politici di Lorenzo non potevano fare di lui un letterato a tempo pieno), la Canzona è una singolarità nella produzione del Magnifico che si presta ad un apprezzamento superiore. Vero è che si tratta di un brano dei Canti carnevaleschi, che è stato pensato per essere musicato, che il sapore epicureo e la dedica a Bacco ne fanno un classico della poesia spensierata; eppure l’ossessività già citata del refrain, il richiamo iniziale alla giovinezza che fugge, l’atmosfera che pervade le incitazioni all’allegria possono avere una venatura di tristezza: di paura quasi, che il tempo fugga troppo veloce e non resti per goderne, che una sorte nefasta attenda dietro l’angolo, che per quanto l’uomo possa sforzarsi l’ignoto è dietro l’angolo e la fine che ci attende tutti è nota e comune.

«Natura, perché non rendi poi quel che prometti allor?» – «Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie»: l’influenza della Canzona di Bacco potrebbe essere assai più estesa di quanto si possa normalmente supporre. D’altronde, la genesi dell’ansiosa incertezza che pervade il canto carnascialesco, che comunque è un esorcizzare la paura della morte, potrebbe derivare dalla stessa condizione signorile di Lorenzo. Per quanto in modo sfalsato temporalmente rispetto a Lorenzo il Magnifico, la Firenze rinascimentale produsse anche l’intelletto di Niccolò Machiavelli (non tragga in inganno la dedica del Principe, rivolta al nipote di Lorenzo, suo omonimo):  il clima politico era senza dubbio tale da giustificare la percezione di incertezza politica e personale perenne per chiunque, fosse anche il Magnifico (ricordiamo che nel 1478 Lorenzo era stato oggetto della Congiura de’ Pazzi, cui seguirono due anni di guerra col papato e con coloro i quali erano contrari alla supremazia medicea a Firenze.

Formerly_Piero_della_Francesca_-_Ideal_City_-_Galleria_Nazionale_delle_Marche_Urbino_2La figura di Lorenzo il Magnifico è stata giudicata con estremo favore dagli storici, rappresentando il modello ideale di Principe illuminato, che operava per la pace e la prosperità. Machiavelli a tal proposito scrisse «subito morto Lorenzo, cominciarono a nascere quelli cattivi semi, i quali, non dopo molto tempo, non sendo vivo chi gli sapesse spegnere, rovinarono, ed ancora rovinano la Italia», cosa che, come possiamo vedere è ancora in atto.

Infatti noi, come il Signor G., vagheggiamo ancora il Rinascimento e troviamo in esso la forza, talvolta, di essere orgogliosi della nostra italianità: senza accorgerci, la maggior parte delle volte, che i fasti sono lontani e che, nella sua comprovata ciclicità, la Storia ci ha riportato nei secoli bui di un nuovo Alto Medioevo.

Vieri Peroncini per MIfacciodiCultura