A parte la fatica improba per tentare di mantenerla decentemente potata (in particolare, domare il pitosforo è un’impresa da fatica d’Ercole), quando si parla di siepe ci sovviene infallibilmente per prima cosa quella che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma subito dopo, come un contrappunto, a sovvenire è un altro limite dello sguardo, il buio oltre la siepe: e il buio, come impedimento al vedere, genera paura dell’ignoto, e questa a sua volta partorisce pregiudizio. In fondo, il significato del titolo Il buio oltre la siepe è tutto qui.

To kill a mockingbird, Per uccidere un usignolo, è il titolo originale del capolavoro della scrittrice dell’Alabama Nelle Harper Lee: Il buio oltre la siepe è un raro caso in cui il titolo originale è stato completamente stravolto e nondimeno rispetta appieno lo spirito dell’opera – semplicemente, presentando il testo da un altro punto di vista, diverso ma compresente a pieno titolo e con uguale importanza nell’opera. La quale narra tre anni di vita e maturazione dei due figli dell’avvocato Atticus Finch, che cerca di allevare da vedovo la piccola Scout di sei anni ed il fratello maggiore Jem, con l’aiuto della domestica di colore Calpurnia: un romanzo di formazione, quindi, narrato dalla voce della ribelle, mascolina ma dolcissima Scout, sullo sfondo di un profondo sud degli Stati Uniti devastati dalla crisi economica del ’29 ed alle prese con tutti i peccati, le restrizioni sociali, i comportamenti stereotipati e soprattutto i pregiudizi di una piccola cittadina in cui tutti si conoscono. Pregiudizi di cui fanno le spese gli ultimi della scala sociale, i diseredati più diseredati, portatori e vittime di vari disagi, ma soprattutto di cui sono vittime designate, in vari modi, le persone di colore: perché nell’Alabama degli anni Trenta lo schiavismo non è un lontano ricordo, e gli afroamericani sono ancora negri.

Scritto nel 1960, Il buio oltre la siepe fu un successo immediato, anche in Italia: valse peraltro ad Harper Lee il premio Pulitzer, e due anni più tardi fu portato sul grande schermo dal regista Robert Mulligan, in un film di altissimo livello che diede ad un Gregory Peck nella parte di Atticus Finch un meritato Oscar (e che vide un giovane Robert Duvall nella parte fondamentale di Boo Radley). Stile e tematiche ricordano, anche nell’ambientazione, Pomodori verdi fritti di Fannie Flagg: uno stile descrittivo minuzioso ma non pedante, una notevole varietà lessicale senza prosopopea, una capacità di introspezione psicologica notevolissima, soprattutto nella

Nelle Harper Lee

descrizione dell’universo interiore infantile e un dispiegarsi di sentimenti positivi che non scadono mai nel sentimentalismo sono tutti punti a favore del dispiegarsi di una trama orchestrata con maestria intorno al tema centrale dei diritti civili. Il romanzo ha anche un seguito, una sorta di Vent’anni dopo recentemente portato alle stampe: Va’, metti una sentinella.

Harper Lee ha il merito, che ad un certo punto sconfina nel talento inconsapevole, di aver creato con Atticus Finch un personaggio epico, della grandezza di uno statista greco, un Pericle – e non crediamo che il sentore evocativo del nome sia casuale. L’etica, la morale e la pietas di Atticus giganteggiano su tutti i personaggi, su tutta la storia e su tutti noi: e nel nucleo centrale del romanzo, il processo al giovane di colore Tom Robinson accusato delle stupro di una ragazza bianca, del quale Atticus riuscirà a dimostrare l’innocenza ma non ad evitare la condanna, Atticus fa quello a cui tutti noi dovremmo tendere, ossia a fare la cosa giusta anziché la più conveniente (e la cosa giusta e quella più difficile sono invece spesso coincidenti, semicit. Robert Spritzel), ed a battersi anche sapendo di avere perso in partenza.

Romanzo di formazione, quindi, ma anche una sorta di dialogo platonico, poiché le sfumature dell’impalcatura etica di Lee – Atticus emergono prevalentemente dal dialogo con Scout, didascalico ma giustificato, narrativamente, dall’intento educativo di un padre. Del resto, l’umanità ha ancora bisogno che certe cose le vengano spiegate come si fa coi bambini, o come le persone non del tutto d’animo cattivo, ma prigioniere dei propri pregiudizi, come quelli della sorella di Atticus nei confronti di Calpurnia. Il buio oltre la siepe è il romanzo che Barak Obama ha portato ad esempio come opera suprema contro ogni razzismo e discriminazione, ma già nel 2007 Harper Lee venne premiata da George W. Bush (sic) con la Medaglia Presidenziale della Libertà, in quanto «Ha influenzato il carattere del nostro paese in meglio. È stato un dono per il mondo intero. Come modello di buona scrittura e sensibilità umana questo libro verrà letto e studiato per sempre». Ma Harper Lee, sia chiaro, non è buonista: per bocca dello sceriffo Tate, ci fa sapere che in un mondo dove la pietas è fondamentale, e l’uguaglianza delle persone un dato lampante, ci sono comunque uomini «a cui bisogna sparare prima di dirgli buonasera, e anche allora non valgono la pallottola che serve ad ammazzarli».

Attraverso gli occhi di Scout, un Huckleberry al femminile, il lettore vede dipanarsi lo splendore stupito dell’infanzia e il suo progressivo cedere nei confronti della realtà, e svolgersi fatti enormi e atroci con gli occhi dei bambini, noccioline che non sono mai più piccole di ciò a cui assistono: il tutto con un rigore stilistico, un senso del tempo e delle proporzioni eccezionali. Le citazioni che si potrebbero trarre da Il buio oltre la siepe sarebbero innumerevoli: sulla giustizia, sul ruolo dei tribunali nella vita democratica di un paese, sul fatto che «non è una buona ragione non cercare di vincere solo perché si è battuti in partenza»: quanta forza in quell’avverbio, “solo”, una forza che fa di Atticus Finch un personaggio epico al pari di Ettore. Dalle citazioni che potremmo fare emergerebbero i temi fondamentali de Il buio oltre la siepe: il coraggio, la giustizia appunto, il sacrificio, la tolleranza, la gentilezza, l’empatia. Tutte queste, però, possono forse esere comprese in una tematica archetipica e onnicomprensiva: la coscienza.

Ma prima di vivere con gli altri, bisogna che viva con me stesso:

 la coscienza è l’unica cosa che non debba conformarsi al volere della maggioranza.

Atticus Finch

 

Vieri Peroncini per MIfacciodiCultura