Freddie Mercury: «I’m just a singer with a song»

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Freddie Mercury nasce il 5 settembre 1946 e come ahi noi sappiamo, una prematura morte l’ha strappato al mondo 25 anni or sono. Una morte prematura che gli ha impedito di invecchiare, di diventare un settantenne, forse arzillo, forse riservato, che il suo volto si riempisse di rughe, che la sua mitica voce perdesse vigore, che la sua forza scenica lasciasse il posto alla lentezza della vecchiaia. Certo, Freddie non morì a 27 anni, ma la sua scomparsa a soli 45 anni ha comunque bloccato la sua musica ed anche la sua immagine allo splendore del successo che pervase la sua esistenza, escluso l’ultimo difficile periodo della sua vita, durante il quale non a caso cercò il più possibile di nascondere il suo stato di salute, proprio per non minare il suo personaggio così eccentrico e vitale.

Eppure penso che un Freddie anziano sarei stata capace di apprezzarlo tanto quanto quello vivace degli anni ’80, nonostante una probabile perdita della brillantezza vocale e dell’estrosità sul palco: basta pensare ai rocker suoi coetanei, se non più vecchi, che ancora oggi tengono concerti ed infiammano il pubblico. Chissà come sarebbe stato Freddie.

In occasione del suo compleanno (da segnalare per l’occasione l’intera programmazione di quest’oggi dedicata a lui su Sky Arte), eccoci a ricapitolare in poche righe la vita di uno dei musicisti più importanti del XX secolo.

Ma cosa c’è da dire su Freddie Mercury che ancora non sappiamo? La sua vita è passata sotto la lente d’ingrandimento di più d’un biografo, eppure il suo mito non smette di essere vivo ed affascinante.

Farrokh Bulsara nacque a Zanzibar nel settembre 1946, figlio di un diplomatico britannico impiegato nelle colonie dell’Impero. Entrambi i genitori erano di etnia parsi, avendo perciò origini persiane ed indiane. Studiò a Mumbai e Bombay dove il suo talento artistico cominciò a palesarsi con lo studio del pianoforte.

Trasferitosi in Gran Bretagna sul finire degli anni ’60, Freddie Bulsara, come si faceva chiamare all’epoca, suonò con vari gruppi quali gli Smile (dove la formazione vedeva alla chitarra Brian May e alla batteria Roger Taylor), gli Ibex e gli Sour Milk Sea.

inderrrrrxLa fondazione dei Queen nella loro formazione definitiva risale al 1970: Freddie iniziò a farsi chiamare Mercury, ed oltre a Brian May e Roger Taylor, si unì al gruppo il bassista John Deacon. Al 1972 risale la creazione del logo iconico della band composto dai segni zodiacali dei membri, disegnato dallo stesso leader del gruppo.

In oltre vent’anni di carriera i Queen hanno pubblicato 15 album in studio, di cui uno postumo a Freddie, 8 live di cui molti tributi al cantante, e ben 18 raccolte: le stime dei dischi venduti oscillano tra 150 e i 300 milioni in tutto il mondo. Da solista Mercury ha pubblicato due album, il celeberrimo Mr. Bad Guy del 1985 e l’album di duetti con la soprano catalana Montserrat Caballé Barcelona nel 1988, più due album postumi.

indexwwwwwCiò che ha reso i Queen e Freddie Mercury dei pilastri della musica è stato il mix irresistibile di una musica unica nel suo genere e di una voce capace di unire una celestialità incredibile a una componente terrena forte, quasi peccaminosa. Musica classica unita ai riff di chitarra elettrica, canzoni struggenti solo voce e piano ma anche ballate rock, pezzi aggressivi e dai significati oscuri, insomma un camaleontico stile sempre reso unico dalla voce tenorile di Mercury, capace di un estensione di 3 ottave (3 e mezza se contiamo il falsetto). Poi beh, la sconfinata personalità e presenza scenica di Freddie, un vero e proprio commediante, hanno dato quella marcia in più al gruppo per poter passare alle storia come uno dei più grandi di tutti i tempi, secondo solo ai conterranei Beatles. E poco importa se tra i tanti detrattori comparì Sid Vicious, che prendendo in giro Mercury, gli chiese se era già riuscito a portare il balletto tra le masse, riferendosi alle sue tute aderenti: Freddie lo prese per il collo e lo sbatté fuori dallo studio di registrazione. Più punk dei punk.

indeeeeexFreddie Mercury era un vero e proprio strumento musicale umano, emozionante e struggente, fedele a se stesso, coerente con la sua musica. Ambiguo quanto basta, amò Mary Austin, la donna alla quale lasciò la sua adorata casa londinese Garden Lodge e il compito di nascondere le sue ceneri, ma non fece nemmeno mistero della sua omosessualità, rispondendo in maniera vaga alle domande a riguardo, ma al contempo girando videoclip espliciti, tra eccessi e drag queen.
L’ultimo compagno di Freddie fu Jim Hutton, che gli rimase accanto fino alla fine dei suoi giorni. Il cantante, sieropositivo, si ammalò di AIDS e spirò il 24 novembre 1991 nella sua adorata casa a causa delle complicanze di una broncopolmonite, ormai consumato, stanco e distrutto dalla malattia.
Mercury cercò di tenere nascosta più a lungo possibile la sua situazione, ma poco prima di morire decise di rendere partecipi tutti i suoi fan della fine imminente, un ultimo atto d’amore verso di loro.

Il vuoto che ha lasciato Freddie è decisamente incolmabile. Certo, ha avuto durante la sua carriera la possibilità di esprimere al meglio il suo talento, si è donato ai suoi milioni di fan in tutto e per tutto, così regale ed eccessivo. Eppure vederlo così emaciato, pallido e col volto scavato non poté, e non può tutt’ora, che provocare tristezza oltre che un profondo senso di ingiustizia.

freddy-mercuryLo so, alla fine era solo “un cantante con una canzone“, eppure, secondo me, era qualcosa di più. Di più vibrante, pulsante, emozionante. Un compagno di vita che mi accompagna da sempre, davvero: a 3 anni reinterpretavo Made in Heaven di Fredde dei Mercury, come lo chiamavo io. Era il 1991, ho fatto appena in tempo a condividere questo pianeta con lui.

Per quanti gli abbiano reso omaggio, per quanti concerti-tributo gli siano stati dedicati, per quanti abbiano coverizzato e riarrangiato le sue canzoni, il paragone rimane sempre impietoso.

Il suo ultimo videoclip in cui comparve fu These Are the Days of Our Lives, girato nel maggio del ’91. Il video fu diffuso dopo la morte del cantante in quanto quest’ultimo, come già detto, volle il più possibile tenere nascosta la malattia. Il video è più che mai struggente, in bianco e nero, reso ancora più malinconico dalla canzone, che si conclude con un terribile e commovente I still love you.

Beh, caro Freddie, I still love you too.

Carlotta Tosoni per MIfacciodiCultura