Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto, 1623

Esattamente al centro di una stanza di Galleria Borghese, la scultura più celebre di Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, è ammirata da moltitudine di visitatori ogni giorno che le girano attorno, ne osservano ogni dettaglio prezioso e ne rimangono impressionati. Con forte naturalismo, mai visto prima nella scultura, l’artista racconta della favola di Ovidio (43 a.C.) mettendo in scena – con grande teatralità come amava – la vendetta di Cupido.

Apollo si era vantato di essere il migliore nell’usare arco e frecce. Per vendicarsi di questa offesa subita, Cupido decide di colpirlo con la freccia d’oro dell’amore, in grado di far cadere anche le divinità in un amore folle e incontrollabile. Le attenzioni del giovane ricadono sulla ninfa Dafne, mentre si aggirava fra i boschi, e accecato dalla passione inizia ad inseguirla nel tentativo di possederla. La bella Dafne fugge impaurita poiché aveva consacrato la sua vita a Diana, dea della caccia, ed anche perché era stata colpita da Cupido dalla freccia dell’odio. Spaventata chiede aiuto alla madre terra e al padre Peneo, il fiume presso il quale arriva pregando di esser trasformata in qualsiasi cosa pur di sfuggire alla violenza. Non appena Apollo la raggiunge Dafne si trasforma in una pianta d’alloro davanti ai suoi occhi. Ad Apollo non resta che prendere qualche foglia e cingersene il capo. Da quel momento l’alloro diventa un attributo sacro al dio e simbolo delle arti.

Dafne, particolare

Il Bernini riesce a scolpire i momenti concitati della scena. Se osserviamo il gruppo scultoreo da dietro sembra d’osservare l’attimo della corsa. Apollo è instabile, si regge solo su di un piede e il movimento è intuibile dal manto svolazzante. Osservando la scultura frontalmente invece percepiamo il momento esatto della trasformazione. La mano di Apollo si è appena posata sul busto della fanciulla, desiderosa di abbracciarla, ma i piedi mostrano già l’irrigidirsi del corpo. Le gambe stanno diventando corteccia e foglie d’alloro si stanno già sviluppando per tutto il tronco.

Si è mai visto nel corso della storia dell’arte un marmo reso così leggero? Sembra che stia volando.

Meravigliosa è la teatralità di Dafne: la bocca è spalancata tanto che possiamo quasi sentirne le urla, il bacino all’indietro, le mani gettate in aria. Le punte delle dite si sono già trasformate in foglie d’alloro. Apollo conserva un’espressione stupita dagli occhi e dalla bocca sbarrati.

Apollo e Dafne nella cornice della Galleria Borghese

Mai nessuno aveva modellato il marmo in modo così naturale. È la magia del Bernini: il materiale si fa leggero e in movimento. L’artista lo ha levigato così tanto da renderlo sottile, come se fosse uno strato di pelle, riuscendo a rendere anche i segni naturali come le piccole pieghe. Riesce miracolosamente a dar vita al marmo.

Rivedendo l’opera 40 anni più tardi dichiarò di non aver potuto mai fare di meglio.

Questo capolavoro del Seicento fu commissionato dal cardinale Scipione Borghese nel 1622 ad un Bernini ventenne. La cura del fogliame, così preciso e così attento, è opera di più mani: Bernini scelse il suo allievo più bravo, Giuliano Finelli, per aiutarlo in tale impresa.

Dopo la straordinaria Pietà di Michelangelo nessuno si aspettava che si riuscisse ancora a creare delle immagini così mirabili da un blocco di marmo. Ma ben presto, ricreduti, nessuno è riuscito a staccare gli occhi di dosso all’Apollo e Dafne del Bernini.

Alejandra Schettino per MIfacciodiCultura