Albero della Vita, 1984

Keith Hearing, Albero della Vita, 1984

«Non si esce vivi dagli anni ’80» cantano gli Afterhours nell’omonima canzone, non sempre però queste parole sono esatte e veritiere. Qualcosa di ciò che è stato ieri, resta impresso nell’attuale linguaggio comune, noi giovani constateremo sulla nostra pelle, che con il passare degli anni, resterà sempre vivo un collegamento con il passato.
Seguendo questo presupposto, nel corso degli anni, l’arte si è rinnovata e non ha perso mai tempo e occasioni, dunque oggi sforziamoci di ricercare quell’angolo, muro, spazio desolato di paese dove c’è un graffito e domandiamoci della sua origine. Sicuramente proviene dalla fantasia di un giovane writer, ma proviamo a non ragionare con banalità: questo linguaggio pittorico che ancora oggi divide la società fra favorevoli e contrari, da dove sbuca? Bene, riavvolgiamo il nastro e torniamo negli anni ’80.

Siamo a New York, la capitale dell’arte mondiale, la Grande Mela è la fabbrica delle mode, della cultura che piace alla gente facoltosa, è la culla della nuova generazione stravagante, le gallerie ed i salotti culturali, per diversi decenni, sono state vere fucine dell’arte, hanno fatto sorgere, fra i viottoli della metropoli, nuove idee e linguaggi figurativi.
Negli anni ’80 il panorama artistico newyorchese accoglie la Street Art: il padiglione espositivo, questa volta, non è più il salone di una galleria, ma la strada di un quartiere. Se da una parte c’è la società benestante che vive la quotidianità in maniera confortevole, che riesce a stabilire relazioni con gran facilità, dall’altra c’è la sfera costituita dall’emarginazione sociale ed ideologica, e il graffitismo è il grido della nuova classe giovanile emarginata, che rifiuta il conformismo sociale. Il nuovo linguaggio, costituito da segni, simboli e fugacità di esecuzione, apre un nuovo orizzonte creativo.

Sono gli anni di Keith Haring (Reading, 4 maggio 1958 – New York, 16 febbraio 1990), pilastro ed icona del graffitismo mondiale. Nato nel 1958 in Pennsylvania, nel 1978 si sposta a New York a studiare alla School of Visual Arts, in questi anni, a fare di lui un grande pittore creativo non è solo la formazione artistica, ma anche, potremmo dire soprattutto, il contatto con la società newyorchese.
Keith si immerge in questo nuovo mondo, fatto di bellezze e tensioni sociali, vive le nuove esperienze culturali, le assimila e le riproduce. Mentre è al lavoro, non viaggia con il pensiero alla ricerca di mondi fantasiosi, ma guarda a ciò che ha intorno a sé, rielaborando il tutto in chiave singolare, così dice:

Mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi. L’arte è per tutti, e questo è il fine a cui voglio lavorare…

Alla base del suo operato c’è la semplicità del gesto, personaggi stilizzati e bidimensionali resi solo dal colore e da una spessa linea di contorno: queste figure riempiranno le sue opere in ogni angolo sul supporto, quegli omini, raccontano di noi, ci mostrano ciò che siamo nella realtà, ovvero dei semplici essere costituiti da tanti interrogativi.
Haring non ci condanna, ci propone quel nuovo orizzonte che può cambiare la società, ci mostra l’uguaglianza di ogni singolo individuo. Nelle sue produzioni guarda interrogandosi su ciò che circonda l’individuo, dal sesso alla religione, dai soldi all’ingiustizia sociale, il tutto attraverso immagini creative e simpatiche alla vista dell’osservatore: la fantasia che Haring produce allude al quotidiano.

Sul finire degli anni ’70 e per tutto il decennio degli anni ’80, lo attende la fama internazionale: realizza diverse opere murali in posti affollati di New York, come le stazioni della metropolitana, dove tutti possono osservare i suoi graffiti, riconoscersi e prendere coscienza sulle tematiche trattate. A New York conosce altri volti dell’arte come Basquiat ed Andy Warhol, con i quali avrà un proficuo dialogo artistico. Espone in diverse gallerie d’arte fra cui, nel 1985, quella di Leo Castelli, celebre gallerista che espose e promosse i più importanti artisti del XX secolo.
Keith Haring diviene un artista amato e ricercato in tutto il mondo, in Italia lo avremo nel 1984 alla mostra intitolata Arte di Frontiera tenutasi a Bologna.
L’artista viaggia e sfida apertamente i poteri forti: verrebbe da dire che ogni angolo di mondo è suo e nell’86 dipinge sul Muro di Berlino mentre nell’87 a Parigi. Haring non si limita all’elaborazione ma crea una continuità quasi industriale dei suoi elaborati: apre dei Pop Shop, ovvero luoghi in cui poter ammirare la sua produzione artistica, questi sono la prova della sua filosofia artistica, che pone l’arte alla portata di tutti.

Si impegna contro la piaga di quegli anni e lotta in prima linea contro l’Aids, malattia che contrarrà nel 1988 e che lo porterà alla morte nel 1990.
Oggi di lui resta il ricordo e la forza del suo disegno, dei suoi graffiti che esprimevano la volontà in un mondo diverso. Keith è riuscito a sopravvivere agli anni ’80, i suoi lavori sono attuali e non perderanno mai la loro forza moralizzatrice.

 

Domenico Ble per MIfacciodiCultura