Emil Orlik fu pittore, fotografo, grafico (con predilezione di acquaforte e xilografia) e artigiano ma prima di tutto riuscì a catturare l’essenza delle persone. Gli bastavano degli occhi, un’espressione assorta o eccessivamente seria, un paio di baffi e un’approssimazione della personalità e in brevissimo abbozzava i tratti salienti, che trasmigravano, in bianco e nero o a tinte policrome, sui francobolli, i manifesti e i principali giornali tedeschi. Complice il viaggio in Giappone che enfatizzò il dono già straordinario di catturare i dettagli, Orlik ritrasse, tra i tanti, Albert Einstein e Rainer Maria Rilke, Henrik Ibsen, Gustav Mahler, Hermann Bahr, Max Klinger, Thomas Mann e Franz Marc.
Come il francese James Tissot e la Preraffaellita Elizabeth Siddal, anche Orlik crebbe in una famiglia dedita alla moda e alla sartoria, così che nella quotidianità a Praga vide sfilare una gran varietà di dettagli e ghirigori accuratamente disposti su pizzi e sete. Quando crebbe si recò a Monaco, dove collaborò con la celebre rivista illustrata Jugend, fondata da Georg Hirth e Fritz von Ostini e che ispirò lo Jugendstil, ossia lo stile Liberty tedesco volto a promuovere un nuovo ideale di arte e vita ispirato alla peculiarità dei particolari della natura. Partecipò al manifesto del Die Weber, il dramma di Gerhart Hauptmanns, e progettò un album di figurine per il fabbricante di cioccolato Ludwig Stollwerck.
Il viaggio in Giappone del 1900-1901 gli cambiò la vita. Fu un’immersione completa in un mondo antico, addormentato nelle sue leggende sacrali e pregne di moniti sulla vita e sulla morte, sui silenzi e sulla contemplazione dell’estetica, sull’antitesi tra la naturalezza e la sonorità. Orlik s’invaghì del Monte Fuji e seppe raccontare abilmente quella fascinazione devota e delirante, ai limiti del misticismo, con la quale le speranze dei Pellegrini s’avvicinano alle sue pendici. Nel frattempo La Ragazza sotto i salici, forse una geisha intenta a godere, avvolta nel fascino rosso del suo kimono, uno dei pochi momenti di libertà, osserva l’albero che la cinge metaforicamente in un abbraccio atemporale.
Quando Orlik tornò a Vienna divenne membro della Secessione Viennese e pubblicò sulla celebre rivista del movimento, Ver Sacrum, cui partecipò anche Gustav Klimt, e caratterizzò i sui dipinti con sempre maggiori dettagli. Non smise mai di viaggiare, muovendosi tra la Francia e la Svizzera; nel 1912 tornò nuovamente in Giappone e visitò anche Corea e Cina. Raccolse diverse opere d’Oriente e fu promotore della mostra Giappone ed Asia Orientale nell’arte e finchè morì a Berlino, il 28 settembre 1932, continuò a raccontare quel fil rouge caricaturale che aveva percepito tra l’Occidente e l’Oriente, la linearità stabile e il fascino sinuoso dell’enigma.
Diverse mostre sono state realizzate per enfatizzare il legame peculiare tra Orlik e il Giappone, tra cui quelle di Amburgo, Regensburg, Colonia, una presso il Castello neogotico di Moyland nel Nord Reno-Westfalia e una in Italia, presso il suggestivo Palazzo Roverella a Rovigo.
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