Un eroe del nostro tempo: omaggio a Umberto Eco

unknown-1Parlare di Umberto Eco (Alessandria, 5 gennaio 1932 – Milano, 19 febbraio 2016) è un onore e un onere, perché si tratta di dar conto di uno dei mostri sacri della cultura italiana, la cui produzione, da vero e autentico intellettuale qual era, ha abbracciato tutti i campi del sapere, dalla filosofia, alla medievistica, alla semiologia e, infine, anche alla sociologia, coi suoi opportuni rilievi sui social media. Cresciuto in ambiente cattolico romano, i suoi studi universitari e la sua laurea sull’Aquinate lo porteranno ad abbracciare l’ateismo (pur conservando, per sua stessa ammissione, una certa affezione per la Chiesa di Roma). È proprio nel mondo della medievistica che Eco muove i primi passi di studioso, che si concretizzeranno nella miscellanea Dall’albero al labirinto (che contiene riflessioni ad ampio raggio su Aristotele, il Medioevo fino alla filosofia contemporanea).

unknown-2In un Medioevo ricco di allusioni postmoderne e intertestuali è ambientato il romanzo più celebre dello studioso alessandrino, Il nome della rosa (1980). Celebre è il protagonista del testo, quel Guglielmo da Baskerville, che rimanda al filosofo medioevale inglese Guglielmo da Ockham, esponente della crisi della Scolastica e principale sostenitore del nominalismo (la corrente filosofica che riteneva che di tutte le cose non rimane che un nome, un ricordo) e ad Arthur Conan Doyle e a Sherlock Holmes, autore e protagonista del celebre Mastino dei Baskerville. L’intreccio è noto: il frate si ritrova a indagare su una serie di avvelenamenti avvenuti nella biblioteca della Sacra di S. Michele, monastero benedettino piemontese, dove il bibliotecario Jorge da Burgos (allusione al celebre scrittore Jorge Luis Borges) avvelena le pagine del secondo volume della Poetica aristotelica, dedicato alla commedia. Il titolo rimanda al nominalismo stesso, in quanto la storia è raccontata anni dopo sul filo dei ricordi di Adso da Melk, novizio e spalla di Guglielmo all’epoca dei fatti. Vale la pena di ricordare il bellissimo film del 1986 con Sean Conenry nella parte di Guglielmo e Christian Slater in quella di Adso.

unknownEco è anche stato fine studioso di cultura popolare e semiologia. La celebre Fenomenologia di Mike Bongiorno (1961), dove egli anticipa, a mio parere, il male endemico della società italiana, cioè l’essere totalmente inani e indifferenti al mondo, soprattutto a cause della televisione, di cui Mike Bongiorno era uno dei principali esponenti nell’epoca del boom economico. L’anno successivo scrive Opera aperta, a mio parere uno delle più importanti riflessioni sull’opera letterariadove lo studioso introduce la differenza tra opera chiusa (il testo che non ha bisogno di ulteriori interpretazioni, in quanto già chiaro di per sé) e l’opera aperta (testo che, invece, sollecita la cooperazione e lo sforzo ermeneutico dei lettori, in quanto la conclusione non è chiara o risulta ambigua).

Feconda è stata la carriera accademica di Eco, che fu anche uno dei principali sostenitori del DAMS di Bologna. Egli non insegnò soltanto in Italia, ma anche in prestigiosi atenei internazionali, come Oxford, Harvard, il Collège de France e la Normale di Parigi. Se la sua opera letteraria più celebre è senza ombra di dubbio il già menzionato Nome della rosa, ma vale la pena di ricordare anche Il pendolo di Foucault (1988, parodia dell’antichità) e Numero zero (2015, critica spietatissima al complottismo e alla manipolazione di notizie tipica del nostro paese).

unknownÈ sull’Umberto Eco sociologo e critico del nostro paese che vorrei concludere la mia riflessione: il villaggio globale di McLuhan, dove tutti sono straordinariamente vicini grazie ai social media come Facebook, ha dato la parola a legioni di imbecilliha sintetizzato lo studioso. Come dargli torto: le chiacchiere da bar di fine anni Novanta, prima dell’avvento dei social network, sono diventati esponenziali, in ragione del fatto che la rete è un mezzo democratico che, nel bene o nel male, concede il diritto di espressione a tutti. Gli webeti di Mentana avevano già un illustre predecessore.

Andrea Di Carlo per MIfacciodiCultura