Serve una voce graffiante e in grado di sprigionare tutta la rabbia e il dolore per cantare che non si rimpiange nulla, niente di niente, e ancora oggi si resta stupiti nel sentirla fuoriuscire dal corpo minuto di Édith Giovanna Gassion (Parigi, 19 dicembre 1915 – Grasse, 10 ottobre 1963), conosciuta dal pubblico con lo pseudonimo di Édith Piaf.

Una piccola Édith Piaf

Ma prima di essere Édith Piaf, ovvero il passerotto francese dall’ugola insanguinata, Édith è solo una bambina con una famiglia particolare che la obbliga a crescere in fretta: i genitori sono artisti di strada e la leggenda racconta che la stessa bambina sia nata su un marciapiede, anche se esistono documenti che smentiscono la veridicità di questa storia. I primi anni li passa prima a casa della nonna materna, un’allevatrice di pulci, da dove venne portata via dal padre dopo che si rese conto delle terribili condizioni igieniche in cui viveva la bambina. Decide quindi di affidarla alla nonna paterna, che gestiva una casa di tolleranza, dove riceve le giuste attenzioni.

Édith ha solo otto anni quando inizia a cantare per strada con lo pseudonimo di Miss Édith, mentre il padre si esibisce come contorsionista. Già a quell’età la leggenda narra che riuscisse ad incantare i passanti grazie alla sua voce. Nove anni dopo resta incinta e nasce Marcelle Carolina Gassion, poi riconosciuta dal padre Luis Dupont, ma Édith è troppo giovane e inesperta e la sua vita è ancora sulla strada. Marcelle muore di meningite a due anni causando la prima grande ferita nel cuore della ragazza. Nonostante il dolore non smette di cantare e nel 1935 viene scoperta da Luis Leplée, che la fa debuttare con lo pseudonimo scelto da lui, La Môme Piaf. Il loro rapporto lavorativo è di breve durata: Leplée viene assassinato, quindi Édith si affida all’ala protettrice di Raymond Asso, che compone i primi testi per la chanteuse. L’anno dopo arriva il primo contratto con una casa discografica, con la quale pubblica Les Momes de la cloche, e cambia il suo nome di nuovo, diventando Édith Piaf e volando verso il successo.

Si allontana da Asso per legarsi professionalmente e sentimentalmente a Louis Barner, ma dura poco. Mentre la Francia è occupata dai tedeschi e lei è costretta a cantare per l’esercito invasore, si innamora di Yves Montand, anche lui cantante che viene lanciato da Édith e che lascia non appena raggiunge l’agognata fama. Dopo essere entrata nel 1945 nella casa discografica Pathé, scrive La vie en rose, canzone che diverrà l’inno di quella Francia distrutta dalla guerra, ma anche la canzone che identifica al meglio Édith, tant’è che nel 2007 il film dedicato alla sua vita sarà intitolato come la canzone.

La sua fama arriva fino agli Stati Uniti dove tra il 1946 e il 1948 canta in alcuni dei teatri più famosi. Ad ascoltarla nel 1948 c’è Marcel Cerdan, un pugile sposato, di cui lei si innamora, ma la distanza rende la loro relazione difficile e basata quasi solo sulla corrispondenza. Cerdan muore tragicamente il 28 ottobre 1949 in un incidente aereo e lei, nonostante il dolore, decide comunque di cantare per lui quella sera, fino ad accasciarsi sul palco. Oltre al dolore per la perdita del suo amato (al quale dedicherà Hymne à l’amour), in quel periodo l’artrite reumatoide prima e un incidente stradale poi la portano all’abuso di morfina, dalla quale dovrà disintossicarsi qualche anno più tardi, mentre porta avanti il breve matrimonio con Jacques Pills.

La consacrazione musicale arriva nel Natale del 1960, quando viene invitata ad esibirsi all’Olympia da Bruno Coquatrix, ormai disperato per la sorte del suo teatro. Quella sera, con la voce carica di dolore e malinconia, canta per la prima volta Non, je ne regrette rien, canzone che risuona in quelli che sono gli ultimi anni della sua breve vita e ancora oltre, fino ad oggi.

Sembra lei abbia pagato tutto, dalla nascita fino alla morte, come se ogni gradino in più che l’ha portata verso la fama mondiale, lei lo abbia pagato attraverso la povertà, la morte della figlia, tutti gli amori iniziati e finiti in un attimo, con l’abbandono o la morte, e la malattia fisica e mentale, fino ad arrivare al giorno, il 10 ottobre 1963, in cui il suo corpo non ce l’ha fatta. Ma lei, con una forza che non sembra possibile trovare in quel corpicino minuto, è riuscita a cancellare e a dimenticare, a cantare che se ne frega del passato e della sua crudeltà.

Jennifer Carretta per MIfacciodiCultura