Avete mai sentito parlare di François-Marie Arouet? Forse no. Questo, perché l’uomo di cui parliamo preferì firmarsi, da un certo periodo della sua vita in poi, con lo pseudonimo Arouet de Voltaire (Parigi, 21 novembre 1694 – Parigi, 30 maggio 1778). Perché chiamarsi Voltaire vi starete chiedendo… In questo caso per chi ne fosse avverso, la psicanalisi non ci darà alcun aiuto. A quanto pare non è certo il motivo che portò Voltaire a firmarsi in tal modo, ma le speculazioni al riguardo sono tante e alcune anche bizzarre, come quella secondo cui il poliedrico intellettuale francese volesse trasmettere, attraverso questo pseudonimo, le connotazioni di “velocità” e ‘”audacia”, da cui le associazioni con “volteggio”, “voltafaccia” e “volatile”. Decisamente più scientifica è, invece,l’ipotesi che vede Voltaire come l’anagramma in scrittura capitale latina del cognome con cui era conosciuto in gioventù, Arouet le Jeune (per l’appunto, Arouet il giovane). Più “letteraria” e in linea con i principi che Arouet propugnò, ma meno rigorosamente scientifica, è la romantica versione che vede il celebre pseudonimo nato per analogia con revolté, “in rivolta”. Insomma, uno dei mostri sacri dell’Illuminismo, oltre ad un’eredità spaventosamente preziosa e tristemente scivolata nell’oblio, ci ha lasciati anche curiosi grattacapi filologici, e proprio alla filologia concederemo l’onere e l’onore di risolverlo.

François-Marie Arouet: Voltaire è l'anagramma del mio nome

«Si c’est ici le meilleur des mondes possibles, que sont donc les autres?» («Se questo è il migliore dei mondi possibili, gli altri come sono?»): quanto abbagliante sarebbe che l’eco di questa domanda (lanciata come un proiettile in Candido o l’ottimismo, capitolo VI, 1759) risuonasse e ronzasse costantemente nelle lucide menti di chi legge! Ma con calma: prima di lanciarci in una distopica riflessione sulla legislazione degli altri mondi possibili, limitiamoci a guardare la realtà del nostro di universo. Tuttavia, azzardando e rischiando, oso analizzare la questione da lui posta riformulando completamente le premesse, e mi auguro che appellandomi alla sempiterna tolleranza di François-Marie mi venga concessa questa opportunità. Dopotutto, non fu Immanuel Kant a scrivere (ne Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo, 1784): Sapere aude!, ovvero Abbi il coraggio di servirti del tuo intelletto!?

La domanda aleggiante nel Candido nasce dalla constatazione della deriva a cui si giunse, culturalmente parlando, agli albori del XVIII secolo. Lo status quo delle cose, nella filosofia, nella politica, nella letteratura, in tutti i campi del sapere sia pratico che teorico, era avvelenato dai batteri il cui DNA si è inserito nella struttura a doppia elica della Storia, batterio che continuò e continua a infliggere disturbi e mali negli uomini e nelle istituzioni. Ovviamente si parla della religione, e più nello specifico delle religioni rivelate o positive, contro le quali Voltaire impiegò fiumi d’inchiostro. Ma nessuno eguagliò la rabbia, l’indignazione e lo stupore demoralizzato che espresse il filosofo francese verso la Chiesa cattolica: l’infame (così definisce il cattolicesimo) è «senza dubbio la [religione] più ridicola, la più assurda e la più assetata di sangue mai venuta ad infettare il mondo», fonte di ogni fanatismo e superstizione. È contro queste malattie della ragione che Voltaire si schiera: «Les lois veillent sur les crimes connus, et la religion sur les crimes secrets» («La legge vigila sui crimini conosciuti, la religione su quelli segreti»).

Le lame affilatissime e taglienti delle sue parole, sparpagliate nei testi tra i più illuminanti che la cultura occidentale può vantare, come il Trattato sulla tolleranza e il Dizionario filosofico, intendono diffondere quei principi laici, di tolleranza e fiducia del progresso, affinché investano tutta la cultura, con l’auspicio che essa sia finalmente scevra da qualsiasi forma di tradizionalismo, fanatismo, autoritarismo, violenza, superstizione, ignoranza e schiavitù. Il lume della ragione deve emergere e brillare, illuminare le menti: è questo il ruolo, pedagogicamente impegnativo, del philosophe.

François-Marie Arouet: Voltaire è l'anagramma del mio nomeMa l’aspetto più profondo, entusiasmante e commovente dell’eredità di Voltaire che alla qui presente preme sottolineare è la rivoluzione che operò in campo antropologico. A dispetto delle tesi, ridicole, degradanti e frustranti, della religione cristiano-cattolica, le quali consideravano l’uomo come intrinsecamente e indelebilmente macchiato dal peccato originale e quindi malvagio e potenzialmente diabolico, l’Illuminismo tutto propone invece una tesi ottimisticamente antitetica. L’uomo è di default buono, punto. Il male esiste, ma è l’ignoranza. Sì, l’uomo è anche egoista, e anzi l’egoismo è proprio uno dei fondamenti dell’agire umano; questo è riconosciuto dagli Illuministi. Non vi dovrebbe sorprendere tuttavia che questi pensatori abbiano permeato anche l’egoismo di un lume razionale: chi, infatti, persegue razionalmente il proprio utilitarismo, magari spingendosi anche ad uno sfrenato edonismo, ma non nuoce a nessuno, non fa altro che incrementare il benessere e la felicità comuni, perché come disse Mandeville, «I vizi privati sono pubbliche virtù».

Nonostante lo spirito dei lumi fu subitaneamente investito dalle consuete perplessità, avanzate dallo stesso Diderot, del tipo «I progressi dei lumi sono limitati, non raggiungono i sobborghi, dove il popolo versa in una irrimediabile condizione di brutalità. Il numero della canaglia resta quasi sempre immutato. La massa è bestiale e ignorante», è innegabile la portata di tale pensiero. Sarebbe ridondante elencare le grandi donne e i grandi uomini che nelle loro parole e nelle loro azioni si sono ispirati all’Illuminismo, così come sarebbe superfluo affermare ancora una volta quanto di questo spirito liberale, innovatore e rivoluzionario sia ormai acqua passata. Non è vano, tuttavia, rievocare il terreno teorico da cui germogliarono il pensiero laico e progressista. Gli eterni, malconci disillusi direbbero che questa è una riesumazione di mummie in piena regola: proprio in virtù di questa e di altre simili ottuse affermazioni, manifesti dei nostalgici della banalizzazione e mortificazione, risvegliare la ragione (la cui morte genera mostri) risulta ancora più necessario, urgente.

Maria Vittoria Giardinelli per MIfacciodiCultura