Ron e Lucio Dalla

Scrivere è liberatorio. Scrivere può essere una prigione. La scrittura è democratica, violenta e imparziale: può svuotarti da tutto il male che viene accumulato, come farti sprofondare ancora di più nell’abisso. Nella scrittura regna un caos ordinato. Ma spesso non viene detto che lo scrivere può, a volte, fare molta paura: quando, ad esempio, ci si trova a scrivere di grandi uomini, la paura è enorme, ed è una paura giusta, perché nasce da un profondo rispetto per quello che questi grandi uomini sono riusciti a fare. Uomini, non personaggi, ché la fama molto spesso non coincide col valore. E come definire se non “Grande”, con la disarmante semplicità che lui tanto amava, l’uomo a cui oggi proviamo a rendere omaggio? Lucio Dalla (Bologna, 4/3/1943 – Montreux, 1° marzo 2012), è, artisticamente parlando, indefinibile. Perché sarebbe riduttivo definirlo come una personalità importante della musica italiana. Di personaggi importanti ce ne sono stati, ce ne sono e ce ne saranno sempre: di Lucio Dalla non ne faranno più.

Nasce jazzista, talento fuori dal comune già verso i sedici anni che inizialmente lo porterà a snobbare la musica “leggera”. Impara a suonare clarinetto e sassofono, poi si aggiungerà anche il pianoforte. Definisce uno stile tutto suo, giocando con la voce come un bambino fa con la neve la prima volta che la vede: a modo suo, come gli sembra meglio al momento, senza pensare troppo. Da qui i suoi caratteristici gorgheggi scat, ovvero l’imitazione vocale del suono di strumentale, tecnica la cui invenzione viene attribuita, da alcuni, a Louis Armstrong. Dalla comunque ne ha sempre fatto un uso assiduo ed emozionante, tanto da contribuire a rendere i suoi concerti unici per emozioni, come disse un certo Fellini rivolgendosi a Lucio stesso:

Ad un concerto di Dalla potrebbero esserci anche personaggi della storia come Vittorio Emanuele II o Garibaldi, tutti quanti dovrebbero venire ad ascoltare un tuo concerto, tanto è la forza evocativa che emana.

Con Francesco De Gregori

Dopo un esordio non proprio idilliaco, nel 1971 arriva l’anno della svolta, con il terzo posto a Sanremo ottenuto grazie al brano 4/3/1943, che non è autobiografico e di cui dovettero venir modificati titolo e alcuni versi, per motivi di censura. La canzone avrebbe dovuto intitolarsi Gesubambino, cosa che non fu permessa per via del tema del brano, la storia di una ragazza madre, incinta di un soldato alleato: la censura non impedisce comunque un successo enorme del brano, di diritto nel best of dell’autore emiliano.

1972, ancora Sanremo e ancora un successo clamoroso, con la celeberrima Piazza Grande. Dopodiché è la volta della collaborazione con il poeta Roversi, fondamentale per la visione narrativa di Dalla riguardo la sua musica. Tra i brani di questo periodo ci sono lavori caratterizzati da testi molto ricercati e da una musica sperimentale, quali Mela da scarto, Un’auto targata TO, La canzone di Orlando.

La conseguenza della rottura con Roversi è la realizzazione da parte di Dalla che è il momento di occuparsi da solo dei suoi testi. E da qui in poi le poesie che ci regala sono, da un punto di vista numerico, imbarazzanti: Com’è profondo il mare, la struggente L’anno che verrà, un inno all’utopia, alla bellezza che non esiste, ma che si lascia così facilmente immaginare, la sua Anna, «che avrebbe voluto morire» e il suo Marco «che voleva andarsene lontano» si dice «qualcuno li ha visti tornare, tenendosi per mano». Cantava quello che viveva, Lucio: realmente o nella sua testa, non fa differenza: canta una Sera dei miracoli «così dolce che si potrebbe bere» e di un ballerino che sogna la pace per tutti, anche per chi non la merita, che danza “alla luce di mille sigarette e di una luna” (Balla balla ballerino).

Lucio Dalla

Oltre alle ripetute collaborazioni con Ron, (al quale si deve riconoscere la firma di un brano innovativo e particolare come Attenti al lupo), va citata la straordinaria esperienza assieme a Francesco De Gregori, col quale dà alla luce un disco epico come Banana Republic (nel quale troviamo un capolavoro, già pubblicato singolarmente in 45 giri, del calibro di Ma come fanno i marinai) e grazie al quale i due saranno tra i primi a far incontrare la musica cantautorale col pubblico degli stadi, diventando la strana coppia di un assurdo, irriverente e stupendo rock ‘n’ roll d’autore.

Ogni disco è un successo, milioni di copie vendute, collaborazioni con i più grandi (Guccini, i già citati Ron e De Gregori, Morandi, Gli Stadio): Dalla è una stella polare tutto il firmamento poetico/letterario (saluti a Baricco) italiano. Tutto questo, senza aver parlato ancora del suo più grande successo. Perché vi sarete accorti che all’appello manca una “canzoncina” come Caruso: capolavoro da quasi dieci milioni di copie vendute dal solo Dalla, che arriva a trentotto se consideriamo le cover fatte da artisti del calibro di Pavarotti, Bocelli, Cèline Dion, Mercedes Sosa e molti altri.

Ancora: il tour con Morandi, la laurea Honoris Causa in Lettere e Filosofia dall’Università di Bologna (una volta assegnare questo tipo di laurea aveva un senso: poi l’hanno attribuita Valentino Rossi e niente…), il nuovo tour con De Gregori del 2010, Work in progress.

La morte di Dalla sembra quasi raccontata in una sua famosissima canzone, Cara, in cui lui canta: «Lontano si ferma un treno / ma che bella mattina, il cielo è sereno / Buonanotte, anima mia / adesso spengo la luce e così sia». Era la mattina di un 1° marzo molto sereno di cinque anni fa, infatti, quando un infarto si portò via Lucio Dalla, all’interno della sua stanza d’albergo, poco distante dalla stazione di Montreux.

Lucio, a noi piace ricordarti nei tuoi vestiti abbinati quasi a caso, scalzo, a cantare poesie con la leggerezza dei grandi, ché a fare i poeti seri son buoni tutti. Oppure in osteria assieme agli amici Guccini e Vecchioni, a dar vita a qualche dimenticata canzone popolare con i tuoi unici scat. Continueremo a piangere ed emozionarci con le tue canzoni, a sorridere pensando a te.

Chissà, magari l’anno che verrà ti riporterà indietro. Anche solo per una canzone e una sigaretta.

Nicolò Peroncini per MIfacciodiCultura