Ultime Lettere di Jacopo OrtisDiciamolo, la domanda sorge spontanea: chi di noi non pensa in cuor suo a quale ruolo avrebbe oggi, nell’Italia delle false eccellenze che sbandieriamo vergognosamente (mentre le nostre eccellenze esistono, ma sono la cialtronaggine, la truffa ed il raggiro, la violenza ed il separatismo e, su tutte, l’analfabetismo funzionale a farla da padrone, purtroppo) un lucido ancorché disilluso polemista come Ugo Foscolo? Tale pensiero, ovviamente, rende le mie notti insonni, ma riesco infine a darmi una risposta, che invariabilmente è: nessuno.

Troppo pessimista cosmico, troppo disilludente, in una parola troppo ingenuo, il Foscolo, per trovarsi bene in un mondo di bugiardi, che già all’epoca sua lo percepiva così, figuriamoci oggi: sarebbe stato usato dai media, masticato per bene e sputato fuori dal sistema come un seme d’oliva, di quelli da apericena o happy hour che dir si voglia.

No, Foscolo oggi, con la sua passione per i sepolcri e la tendenza al fine-vita, sarebbe stato osteggiato a destra e manca, con in testa gli obiettori di coscienza, magari. E forse le Ultime Lettere di Jacopo Ortis non avrebbe neppure mai visto la luce. E mentre nel romanzo la logica conclusione del protagonista, che non tollera una realtà inaccettabile, è il suicidio qual forma suprema e virile di rifiuto, ben sappiamo che oggi probabilmente tale conclusione verrebbe censurata.

ef119040b5_7540142_med-1Eppure, al di là di molti aspetti, a partire dalla forma di romanzo epistolare per arrivare alla tendenza al lirismo e ad una retorica piuttosto greve, il buon Ortis è un personaggio moderno anzichenò e soprattutto moderni sono i suoi dolori. Strutturato su un doppio piano, la vicenda sentimentale da un lato e la crisi politica, filosofica ed esistenziale dall’altro, da questo secondo punto di vista il romanzo è di una attualità sconcertante almeno per noi abitanti dell’italico suolo patrio. Personaggio da romanzo egli stesso, tra forti passioni civili e una vita avventurosa e disordinata al netto di diversi amori appassionati e tendenzialmente infelici, Foscolo visse in un’epoca di grandi rivolgimenti e crisi sociali, ambizioni elevate e profonde disillusioni: su tutte, ricordiamo il tradimento di Napoleone Bonaparte, visto come un liberatore che poi tradisce, come avrebbe fatto un italiano qualsiasi peraltro, cedendo Venezia all’Austria in cambio della Lombardia.

Una delle cifre del romanzo è l’amarezza quella di chi può dire «sai tu dove vive ancora la vera virtù? In noi pochi deboli o sventurati; in noi, che dopo avere sperimentato tutti gli errori, e sentiti tutti i guai della vita, sappiamo compiangerli e soccorrerli». Attento sia alla tradizione letteraria come all’attualità del suo tempo, Foscolo canta la disillusione e diventa con Jacopo Ortis la bandiera del Risorgimento.

Ultime Lettere di Jacopo OrtisMa la disillusione, dicevamo, è figlia del tradimento: ecco perché un’occhiata alle Lettere andrebbe data anche oggi, magari dopo aver letto la biografia di Icardi. Perché poche popolazioni sono state tradite per settant’anni come quella italiana: tradita nelle aspettative di chi chiedeva un lavoro dipendente e una vita anonima, tradita dai sindacati, dalla propria classe politica stupida&avida, tradita nella propria identità culturale per favorire un’entità maligna e fantasmatica come l’Europa, mortificata nel proprio patrimonio culturale e nella propria tradizione scolastica, tradita dalle proprie istituzioni e servizi, dalla forza pubblica, dalla magistratura, da chi doveva salvaguardare la salute pubblica ed i figli.

Certo, Foscolo/Ortis non poteva vivere una crisi economica da Terzo Millennio e quindi non poteva vedere sessanta milioni di italiani complici: complici della loro sconfitta, del loro destino, perché naturalmente portati a scegliere automaticamente quello che è loro conveniente (ma una convenienza hic et nunc, da discount) invece di quello che è giusto.

In Foscolo, nell’intera opera di Foscolo che però è già tutta presente in Ortis, vibra forte il sentimento della Patria, della Patria mancante, di quella negata all’esule ramingo.

Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia.

Ugo Foscolo, uno di noi.

Vieri Peroncini per MIfacciodiCultura