Fellini
Federico Fellini e Giulietta Masina sul set de La strada

Quanti ragazzi hanno sognato e ancora sognano di diventare attori famosi, sfilare sui red carpet e incassare cachet milionari; nel far questo il pensiero va a agli USA e ad Hollywood, terra di sognatori, ma prima dell’imposizione del mercato cinematografico americano, nell’immaginario italiano c’era una classe di registi che rendeva Cinecittà quella che oggi è Los Angeles, tra questi un posto particolare è riservato a Federico Fellini.

Federico Fellini fa la sua comparsa al mondo il 20 gennaio 1920 a Rimini, città che lascerà nel 1939 per cercare a Roma (dove morirà il 31 ottobre 1993) e a Cinecittà quella fortuna che troverà in abbondanza, ma che continuerà a portarsi in testa e nel cuore, infatti la città romagnola sarà più o meno direttamente ricorrente nelle sue opere cinematografiche. Il giovane Fellini mostra subito il suo spirito artistico in attività a margine del mondo cinematografico: sarà fumettista, scrittore, sceneggiatore e giornalista. La famiglia lo desiderava la professione forense per il suo futuro, ma proprio il giornalismo è la strada che Fellini sognava di prendere da adolescente: lui stesso affermerà anni dopo che la il regista era una professione che non vedeva adatta a sé per il suo carattere mite, dubbioso e poco propenso al decisionismo. Ma la storia per fortuna sarà diversa. Il passaggio dalla sceneggiatura alla regia è breve: Fellini inizia a pensare di dar vita a sue sceneggiature rifiutate dai produttori, tra cui il suo primo lavoro (sperimentale ed infelice dal punto di vista degli incassi) Luci del varietà del 1950, all’inizio cestinata da Carlo Ponti.

Marcello Mastroianni, Federico Fellini e Anita Ekberg sul set de La dolce vita
Marcello Mastroianni, Federico Fellini e Anita Ekberg sul set de La dolce vita

La svolta allora giunse con Lo sceicco bianco, con protagonista un grande Alberto Sordi (1952), opera che lo accreditò definitivamente nell’ambiente cinematografico e fu l’anticamera di un successo trascinante. Volendo ricordare solo qualche titolo per necessità, si segnalano assolutamente film (da guardare almeno una volta nella vita!) come La strada (1954, Oscar al miglior film straniero nel 1957), La dolce vita (1960, Palma d’oro a Cannes e Oscar per i costumi), (1963, capolavoro assoluto, forse il più grande di Fellini, con un Marcello Mastroianni ai suoi livelli massimi, vincitore di due Oscar per miglior film straniero e per i costumi), Amarcord (1973, ancora Oscar per miglior film straniero) e molti altri ancora (I Vitelloni, uno per tutti), per i quali l’Oscar alla carriera del 1993 è forse poca cosa.

Ma chi era davvero Federico Fellini, non il regista ma l’uomo dietro la cinepresa? Beh dare risposta a questa domanda è difficilissimo. A detta di molti, prima di tutti dal suo grande amore Giulietta Masina (attrice protagonista di diversi lavori del marito), Fellini era un grande bugiardo, ma allo stesso tempo un uomo dalla schiettezza disarmante. Davanti ai giornalisti indossava una maschera: le interviste palesemente lo stancavano e cercava di animare le conversazioni con risposte ironiche e spiazzanti (come nel caso in cui affermava che un suo film nasceva nel momento in cui firmava il contratto e percepiva l’anticipo), che lasciavano trasparire la sua insofferenza per un ambiente culturale fatto di intellettualismo borghese, di quella borghesia di cui sbeffeggiava i vizi ne La dolce vita. Lo scherzo lo accompagnava anche nei rapporti personali e nel lavoro. Infatti la realizzazione di un suo film era già esso stesso uno spettacolo: orde di personaggi surreali che inondavano studi e strade, e tra questi lui si trovava maledettamente a suo agio. Un circo in cui lui era il clown triste con giacca e cappello.

Scena tratta da Amarcord

Chi gli stava intorno percepiva l’esistenza di una bolla che lo separava dalla dimensione del reale per catapultarlo nel mondo del cinema: un mondo creato a sua misura e volontà in cui si sentiva più a casa che in qualsiasi altro posto, una realtà artificiale in cui la malinconia e i malanni scomparivano all’istante. Un luogo lontano dalle convenzioni sociali di una realtà che tendeva sempre più a sconsolarlo, dunque il cinema divenne il suo rifugio, che curava con una attenzione maniacale: ogni gesto, ogni battuta, ogni cosa venisse catturata dalla macchina da presa doveva essere l’esatta realizzazione della sua prefigurazione. In contrasto con la corrente cinematografica neoralistica del suo tempo, Fellini ha affermato un surrealismo così aderente alla realtà tale da renderlo unico. Hollywood può non far altro che imparare.

Vi aspettiamo questa sera da Let’s Feel Good per approfondire questo un importante regista.

Pierfrancesco De Felice per MifacciodiCultura