Agire in un territorio che si avverte come proprio comporta dei vantaggi immediati, quali la diminuzione dello stress, l’aumento dell’autostima, la percezione di un locus of control (sensazione di controllo) interno, che dunque si traducono in una performance migliore. Avere un contenitore fisico in cui rifugiarsi non è la stessa cosa rispetto a percepire un luogo come un simulacro emozionale, una sede privilegiata in cui poter uscire e tornare (come l’infante dal seno materno) quandunque se ne avverta la necessità. L’essere umano non è un’entità solipsistica avulsa dal contesto, e in ogni momento- invevitabilmente- è esposto al mondo e ai soggetti che, del mondo, come lui non possono non esserci. Marcare la territorialità è un procedimento istintuale, che getta radici fin dai primi momenti in cui gli animali devono trovare rifugio dai predatori.

 

“Le persone hanno bisogno di un territorio sicuro e protetto per poter funzionare in modo adeguato” (Hanley, & Abell, 2002)

Ci sono dei confini legali (cancelli, muriccioli, porte d’ingresso blindate o meno), ma in psicologia la territorialità è qualcosa di molto più complesso ed è accompagnato da valori impliciti o meno dichiarati. Prima di tutto, un territorio sicuro deve restituire sicurezza. Abraham Maslow la inserisce come necessaria, nella piramide dei bisogni, per procedere ai livelli successivi. Costa (nel libro Psicologia Ambientale del 2009) afferma che un terreno recintato viene percepito maggiormente come un territorio privato rispetto a un terreno non recintato e all’aperto all’eccesso. Una recinzione in muratura trasmette un senso psicologico maggiore di proprietà privata rispetto ad una con rete metallica.

Quando si parla di territorialità non si può non integrare la personalizzazione. Si tratta di quel processo, automatico, per il quale quando il territorio viene marcato si ha la tendenza a connotarlo con elementi che rimandino inequivocabilmente alla propria persona, come ad esempio fotografie, poster, colori caldi o freddi, quadri… Ad esempio, se qualcuno occupa la sedia in cui ci si siede abitualmente a cena, questo è un piccolo affronto, perchè viola un esempio di territorialità. Mediamente, i maschi impongono maggiormente la territorialità e mostrano dei comportamenti di difesa ed aspirazioni di spazi maggiori per loro stessi, mentre le donne tendono a personalizzare il territorio in modo superiore e a mostrare un livello di attaccamento emotivo più elevato; comprano più frequentemente suppellettili, mobili, quadri, tendaggi ed altri arredi ed oggetti decorativi

In base a quanto ci si sente legittimati ad agire e ad apportare cambiamenti in un luogo, più lo si personalizza, lo si connota di emozioni e di credenze, più si arriva a chiamarlo “casa”. Altman e Vinsel (1977) distinguono gli spazi in:

  1. Territori primari: la privacy è garantita da diritti legali di proprietà che salvaguardano lo spazio. L’abitazione o qualunque struttura è proprietà esclusiva del soggetto, che arriva a investire molto sul piano emotivo. L’invasione di una territorialità primaria produce reazioni aggressive di difesa. Se i territori primari vengono condivisi con altre persone, si stabilisce un territorio nel territorio, ossia vengono demarcate le zone di competenza.
  2. Territori secondari: non si posseggono ma si utilizzano a motivo di una qualifica. Il livello di occupazione e di percezione di appartenenza è moderato e il livello di personalizzazione è circoscritto al periodo di occupazione legittima di quel determinato territorio. Es. classe scolastica o stanza d’albergo.
  3. Territori pubblici: non si vanta alcun diritto di proprietà né di possesso personale e l’appartenenza è estesa alla collettività. Il livello di percezione di appartenenza e di personalizzazione sono bassi poiché vi sono molti possibili utilizzatori di uno stesso territorio. Es. cinema, parcheggio.

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