L’Io contro il suo doppio è un topos sia nella letteratura classica sia in quella moderna, perché nel luogo della doppiezza ci sono le possibilità e le scelte dell’individuo contro aspirazioni lontane dal suo essere autentico e più vicine ad una controfigura della sua natura. Nel panorama letterario greco c’è un personaggio che è come un filo teso che si dirama in due: Medea, la grande eroina euripidea, ha in sé quella bipolarità insita già nel suo nome Μηδεια da ricondurre al verbo μηδεσθαι, “prendersi cura” e “macchinare”.

Frederick Sandys, Medea (1866-68)

Medea, oltre a presentarsi nei primi libri delle Argonautiche di Apollonio Rodio come una fanciulla estremamente vulnerabile, quasi un’adolescente ignara dei turbamenti amorosi, capace di arrossire, è una donna barbara, portatrice di valori altri e sconosciuti alla stessa civiltà greca. Ad esempio nella Medea di Pier Paolo Pasolini (1969) è brutalmente esplicita la bestialità degli uomini della Colchide, come nella scena del sacrificio umano in cui si vede un uomo legato come in croce a dei pali di legno, poi tagliato pezzo dopo pezzo, arto dopo arto davanti agli occhi di tutti, per concimare la natura col sangue di un suo figlio. Emblematica è la scena in cui vengono sotterrati gli organi, il tutto in un silenzio disarmante. Per chi non condivide i valori di un mondo altro, la scena del sacrificio appare come priva di senso, ma è la legge di un’altra civiltà, è la legge dello straniero. La figura di Medea, dunque, è portatrice anche dello scontro grecità/barbarie più volte messo in rilievo nel corso della narrazione delle Argonautiche. La civiltà greca viene incarnata da Giasone che con la sua superiorità di uomo greco è ben distaccato dalla legge dell’Eros e alla fine riesce nella sua impresa di recuperare il vello d’oro. Da una delle ultime scene del film di Pasolini è evidente lo scontro-incontro di due civiltà e di due leggi dalle parole dello stesso Giasone:

Che io devo solo a me stesso la buona riuscita delle mie imprese, anche se tu non vorrai mai riconoscere che se hai fatto qualche cosa per me lo hai fatto solo per amore del mio corpo. Tu mi rimproveri di essere ingrato, ma io, anche, forse senza molta fatica, e magari lo ammetto non volendolo, ti ho dato infine molto di più di quello che ho ricevuto.

Ciò che Medea ha ricevuto più importante di qualsiasi cosa è la civiltà. Tuttavia la donna conosce solo la legge dell’Eros, è impossibile sopprimere un istinto naturale, altrimenti si snatura l’anima. La bipolarità di Medea sta proprio in questo. Dopo aver assistito al colloquio fra Giasone e suo padre circa la prova che avrebbe dovuto superare l’eroe, la donna barbara è inconsapevole della tremenda passione che la dividerà in due. Medea è divisa dal conflitto lacerante fra l’amore filiale, che la legano alla famiglia e alla sua terra, e l’amore per l’eroe greco:

Perché tanta angoscia mi opprime? Quest’uomo è votato alla morte: / che fra gli eroi sia il più grande o solo un inetto, / vada in rovina… Però, vorrei che riuscisse a salvarsi!

III, vv.464-466, Argonautiche

L’innamoramento sarà così forte da condurre la donna barbara quasi al suicidio:

[…] un affanno / la consumava da dentro,le ardeva sotto la pelle / fino ai nervi sottili e all’estremità della nuca

III, vv. 761-763

e poi

Disse, e si mise a cercare lo scrigno in cui stavano chiusi / tutti i suoi filtri, sia quelli benigni sia quelli malefici

 III, vv. 802-803

Ecco un’altra contraddittorietà, la forza salvifica dei suoi rimedi insieme alla loro potenza distruttrice, così come lo scontro tra aidos (pudore) e hìmeros (desiderio amoroso), che si risolverà nella scena in cui il fratello di Medea, Apsirto, colpito da Giasone, le sporcherà il velo e il peplo bianco col suo sangue.

Maria Callas nei panni di Medea

Medea, pur essendo legata alla sua terra, non riesce a salvarsi dai suoi istinti, dalle discordanze dell’anima che hanno luogo nel monologo interiore, uno spazio che la muoverà alla fine al contrasto fra amore materno e il desiderio di vendetta. È l’istinto di donna, di una figura femminile che, in piena coerenza con la sua passione, attua delle scelte terribili che derivano da scelte più grandi. Medea per Giasone ha molto ucciso e molto ha sofferto, non ha mai seguito la legge del “vantaggio”, ha saputo non ostacolare il cuore, pur essendo consapevole dell’atrocità di cui sarebbe stata la causa. Nessuno mai potrebbe biasimare completamente Medea quando uccide i figli per negarli a Giasone, nessuno biasima Medea quando sceglie di tradire la famiglia, o già quando premeditava in cuor suo la salvezza dell’eroe greco.

Medea, nella sua doppiezza, nello scontro tra l’Io e l’altro, in tutte le sfumature possibili delle sue discordanze, è sempre stata la Medea capace di “prendersi cura” e di “macchinare“.

Giorgia Zoino per MIfacciodiCultura