Malinconico, nostalgico. Avvolto dalla nebbia invernale, nella ricerca delle percezioni che gli altri hanno di lui. Un Mattia Pascal tramutato in Mauro Barbi che fatica ad accettare le altre versioni del sè. La vita è una suggestione, un sogno. Un lago ghiacciato, come la sua anima. Il pensiero torna al passato, non perché è uno storico. Il futuro ne è condizionato. Si incunea nel pensiero della vita potenziale, con la forte nostalgia di quello che fu e avrebbe potuto essere. Oscillando tra il passato remoto e l’oggi, di citazione in citazione, Mauro Barbi cammina tra i disastri climatici del lago ghiacciato e il freddo della solitudine. Affollato di pensieri e dalle voci della lontananza, il suo è un risveglio meditabondo, inumidito dallo spleen di matrice baudelairiana e intriso dalla profonda riflessione proustiana sul senso del tempo e della memoria. L’antieroe chiuso a doppia mandata nel suo mondo, sembra uscire da un letargo durato decenni, prova ad affrontare gli effetti di una serie di “incidenti emotivi” che lui stesso ha provocato. Ripiomba nella vita di persone che non vedeva da tempo, pretendendo di riannodare fili interrotti, di avere risposte fuori tempo massimo.

E’ uno storico di mezza età che si accinge a compiere un viaggio verso il lago di Costanza e un vagabondaggio introspettivo, sulle tracce delle persone che abitarono la sua esistenza. La glaciazione, avvenuta a metà del Cinquecento, è stato il principale oggetto dei suoi studi, ma ora la sua glaciazione interiore ha la precedenza. E’ l’urgenza di tornare in contatto con gli altri, dialogare, aggiustare.

Si snoda così un flusso di pensieri e turbamenti, in una bruma di riflessioni che lasciano spazio anche all’ansia e alla fatica di rientrare a vivere pienamente nel presente.

Partendo da Mestre, passando per Monaco e poi dirigendosi verso Zurigo, Barbi ripercorre le tappe dei suoi rapporti, da quelli di amicizia a quelli professionali, a quelli amorosi, ossessionato nel recuperare l’idea che gli altri hanno di lui. Perchè, inevitabilmente, ciascuno di noi ricorda le stesse cose, ma in modo diverso. Lo studente ha già rimosso dalla mente il supplente.

Un uomo non muore mai se c’è qualcuno che lo ricorda, scriveva Foscolo. Ma Barbi è svanito, evaporato in una nebbia di fotogrammi lontani. Lo sforzo del protagonista è teso allora a costruire una “memoria condivisa” che non sia una rappresentazione deformata dall’impressione fugace, tra le mille possibili sfumature che si possono cogliere. La pretesa di sindacare congruenza e oggettività della memoria altrui mostra il suo lato più fragile e umano, con quell’esasperante volontà di restituire una percezione meritevole e condivisa. Barbi tenta di ricostruire le ragioni di un esodo e ripopolare il suo proprio paesaggio esistenziale, schiacciato nel gelo della solitudine («la vera nota a piè di pagina della mia vita ero diventato io»), prova ad aggiustare i ricordi degli altri, perché se non ci dimenticano, “ci ricordano male”. Lo storico e l’uomo, il discrimine è anche tra storia e memoria. La prima viene fissata dagli archivi e dai documenti; mentre la seconda è labile ed in continuo divenire. La memoria cambia adattando, in modo più o meno consapevole, il ricordo alle necessità del presente. Le emozioni non si possono archiviare né catalogare in rigidi schemi. La vita è dunque un collage di frammenti e percezioni, una commistione tra miraggi e ciò che sembra reale.

Senza umani, il ghiaccio domina nella storia del lago e nella vita di Barbi. L’uomo ibernato timidamente apre al disgelo che è dialogo, declinato in modi e contenuti diversi (con una sconosciuta, con gli amici e il professore, con il pubblico televisivo, con una ragazzina adolescente). In una passeggiata invernale sotto la pioggia, si scioglie il grande freddo; dopo un lungo estraniarsi, torna a vivere nella pienezza del hic et nunc. C’è ancora tempo per cambiare le cose. Esiste solo il presente.

Fuck Pirlott, let’s rock

Lara Farinon per MIfacciodiCultura