Chi era davvero Vincent Van Gogh? Perché la sua vita, il suo personaggio, la sua arte, affascinano così tante persone? Ma soprattutto, perché durante la sua esistenza le sue opere e la sua sensibilità non furono del tutto comprese? Per capire davvero chi era Van Gogh quindi i suoi capolavori, bisogna ricostruire la sua vita, fatta di sofferenza e di rari momenti felici, tutti trasposti nelle sue pennellate.

Nato in una benestante famiglia olandese, Vincent Van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853 – Auver-sur-Oise, 29 luglio 1890) mosse i primi passi nel mondo dell’arte come mercante di opere dal 1869 al 1876. Una volta lasciata questa promettente carriera, a 27 anni decise di voler essere un artista.

Ragazzo inginocchiato con falcetto, 1881

Trovò il suo più grande sostenitore nel fratello minore Theo, fondamentale appoggio economico e valvola di sfogo per Vincent, che gli scrisse numerosissime lettere, oggi ritenute dagli studiosi un’importantissima fonte di studio per comprendere la poetica del grande pittore.

A Nuenen, nei Paesi Bassi, Vincent Van Gogh dipingeva attimi di povera realtà sociale, come I mangiatori di patate, secondo uno stile che rimanda all’atmosferica resa delle tonalità scure della produzione fiamminga del Seicento:

I quadri devono essere fatti con la volontà, col sentimento, con la compassione e con l’amore, non con i sofismi di quei conoscitori che oggi si riempiono la bocca con la parola “tecnica” […] la cosa che più desidero è di poter fare proprio quelle manchevolezze, quelle deviazioni, quelle aberrazioni e varianti della realtà, di modo che divengano, si diciamolo pure, delle falsità, ma più vere della verità letterale.

Per schiarire la propria tavolozza e per trovare la luce nei colori, gli servirono il trasferimento a Parigi nel 1886 e l’incontro con gli impressionisti, in particolare con Gauguin, e con l’arte giapponese, diventata una moda grazie alle Esposizioni universali di Londra e Parigi. Vincent Van Gogh rimase affascinato dalla sottomissione delle tonalità e dei colori brillanti alla mano degli impressionisti, di cui però non adottò né i soggetti pittorici né la pittura per macchie e sfumature. Nella tecnica esecutiva, preferì rimanere fedele alla sua caratteristica pennellata rapida, pastosa che consentiva una stesura a piccoli tratti. Nella sua iniziale produzione parigina fu forte la componente grafica derivata dalla calligrafia giapponese. Tuttavia, mano a mano alla matita si sostituì il pennello, con cui Vincent Van Gogh dominava le considerevoli dosi di colore utilizzate, dando alla sua pittura un aspetto materico.

Il suo animo tormentato non trovò pace nella grigia Parigi e decise così di trasferirsi nella soleggiata Provenza. Lì, riuscì a catturare il secondo in cui i raggi del Sole entravano in contatto con il colore sulla tavolozza e quindi sulla tela in una produzione che è il trionfo della pittura anti-naturalistica. Vincent Van Gogh rappresentava la realtà come la percepiva esteticamente piuttosto che come fedele e concreta cronaca di ciò che egli vedeva in quel momento.

Nel 1888 si trasferì a Arles per fondare una comunità di pittori che condividessero i suoi ideali di pittura. Vi invitò l’amico e insegnante Gauguin, che grazie ai soldi di Theo, lo riuscì a raggiungere. Il suo soggiorno nella Casa gialla, condivisa con Vincent, non fu né facile né lungo. Se ne andò due mesi dopo: il temperamento di Vicent era sempre più irascibile e imprevedibile tanto da spingerlo a minacciare con un rasoio l’amico, che fuggì a Parigi. Lasciato solo, Vincent si menomò, tagliandosi parzialmente l’orecchio. Autoritratto con l’orecchio bendato è la testimonianza di questo disperato gesto autolesionistico: Van Gogh si autoritrasse persino nella stessa stanza, che poco prima era stata oggetto del serafico dipinto La camera da letto.

Il Vigneto Rosso, 1888

Di lì a poco, decise di entrare in una casa di cure a Saint-Rémy, dove cominciò una produzione di autoritratti, di iris e cipressi e di stelle. È il periodo della famosissima Notte stellata. Non era più il Sole a dare la luce ai suoi quadri, ma la Luna e le stelle. Non era più il giallo il colore dominante ma le tonalità scure dei blu e dei verdi, ricorrenti anche nella sua successiva produzione a Auvers-sur-Oise, dove si trasferì, sperando invano in un miglioramento nelle proprie condizioni di salute. Una tragica notte di luglio 1890, si sparò con la sua pistola in un campo di grano. La ferita lo uccise due giorni dopo.

A fine Ottocento, Vincent Van Gogh, il pittore che oggi batte i record alle aste internazionali, vendette unicamente Il Vigneto rosso. Sapeva di non star vivendo per la sua generazione, bensì per «quella che verrà» del Post-impressionismo e dei Fauves francesi e dell’Espressionismo tedesco, che lo avrebbero riconosciuto un loro anticipatore.

Eulalia Testri per MIfacciodiCultura