Leonardo Da Vinci; di lui non si è mai smesso di parlare -complice quell’alone di mistero ed esoterismo che contraddistingue ogni sua opera- ma più che mai lo si fa adesso, in occasione delle celebrazioni che vedono protagoniste le eterne rivali Italia e Francia. Di sicuro però, Leonardo, non è stato l’unico artista a rendere grande ed inarrivabile il Rinascimento italiano nella storia, e fra i suoi colleghi ce n’è uno che più degli altri emerge per contrasti e similitudini: Michelangelo Buonarroti.

La storia li vuole antagonisti, in contrapposizione, rivali… ma lo scopo di questo articolo è quello di mostrare come in realtà, i due artisti siano di fatto in sintonia non solo per quanto riguarda alcune caratteristiche stilistiche, ma anche e soprattutto per quello che entrambi definiscono il senso dell’arte. 

Innanzitutto va ricordato che i due geni toscani hanno lavorato alla stessa commissione; infatti entrambi hanno avuto l’incarico di affrescare le pareti della sala del Gran Consiglio di Palazzo Vecchio a Firenze: Michelangelo con la rappresentazione della battaglia di Cascina doveva impreziosire la parete di destra e Leonardo con la battaglia di Anghiari quella di sinistra. Entrambi i disegni noi li conosciamo grazie a dei cartoni sui quali i maestri avevano abbozzato il loro schizzo, perchè entrambi di fatto, non porteranno mai a termine la commissione ma la abbandoneranno prima ancora di iniziare ad affrescare le pareti.

Pietà Rondanini, dettaglio

Potrà sembrare singolare, ma proprio questo aspetto, il non finito, è ciò che accomuna i due artisti sia nello stile…che nel carattere. Entrambi conosciuti per avere un temperamento focoso e facile all’ira, hanno sempre avuto una peculiare predisposizione a non portare a compimento opere che gli erano state accordate, lasciando così incompiute commissioni importanti. Il non finito infatti, lo si può riscontrare anche nelle stesse opere che li hanno resi celebri: per le sculture michelangiolesche si possono citare Lo schiavo barbuto, l’Atlante, la Pietà Rondanini opere che dichiaratamene sembrano non emergere del tutto dal blocco di pietra o marmo che dà loro vita, ma si fondono in un tutt’uno, creando una miscela di corpo, tecnica e anima.

Già, perchè per Michelangelo, il non-finito permette di porre all’interno della scultura, un pezzo della propria anima e della propria visione dell’arte.

Atlante

Questa tecnica è infatti l’unica in grado di “denunciare” un animo ribelle e sorprendentemente moderno per l’epoca secondo cui l’arte, il suo senso più profondo, và ben oltre la rappresentabilità attraverso la materia, non può essere limitata dal buon gusto dettato da uno sterile insieme di regole accademiche; l’arte è emozione, vibrazione dell’anima e quindi libertà, e il non finito è la massima espressione di autonomia che Michelangelo ha potuto trovare, per uscire da rigidi schemi fatti di proporzioni e formalismi. 

 

Una “tecnica” che parla di sentimento più che di ragione, e che secoli avanti gli avanguardisti (futuristi, surrealisti, dadaisti, impressionisti, contemporanei..) useranno come spunto per dar vita alle loro opere.

E Leonardo? Leonardo declina il concetto di non finito in maniera differente; documenti storici e testimonianze biografiche ci parlano di un artista che soleva ritoccare i suoi quadri più e più volte, fino a portare lo stesso artista a decidere di non consegnare l’opera commissionata perchè ritenuta dallo stesso, inadeguata. Con il famigerato Cavallo -commisionatogli da Ludovico il Moro per rendere omaggio al padre, Francesco Sforza– addirittura l’artista vinciano si supera: progetta una scultura che fin dall’inizio sà di essere irrealizzabile (le quantità di piombo da fondere e le proporzioni del cavallo erano insostenibili per l’epoca… ed infatti l’opera non fu mai realizzata se non nei primi anni 2000 da un’azienda americana innamorata del progetto).

Disegno del Cavallo autentico di Leonardo, mai realizzato in epoca rinascimentale

La Gioconda pare essere stata ritoccata talmente tante volte che di fatto non è mai stata consegnata a Francesco del Giocondo (secondo molti, il committente del ritratto della consorte), ma ha accompagnato l’artista fino alla sua morte, in Francia. La battaglia di Anghiari è stata abbandonata perchè concepita con la tecnica dell’encausto ritenuta fallimentare per il progetto.

Pare che l’artista seguisse ossessivamente questa convinzione di non poter portare a termine le sue opere, o meglio di non poterle appieno realizzare, perchè di fatto nessun opera realizzata attraverso l’uso della mano, poteva rendere giustizia alla perfezione dell’idea che veniva concepita nella mente. L’intelletto è ciò che ci rende più vicini a Dio, l’uso della mano ciò che caratterizza maggiormente la condizione -finita- di essere umano: nulla di ciò che viene concepito dalla divina mente, può trovare perfetta realizzazione in ciò che passa attraverso l’uso di una parte del corpo.

Di questo aspetto caratterizzante di Leonardo, parla anche Giorgio Vasari nel capitolo delle Vite a lui dedicato:

Trovasi che Lionardo per l’intelligenza de l’arte, cominciò molte cose e nessuna mai ne finì, parendoli che la mano aggiungnere non potesse alla perfezione de l’arte nelle cose che egli si imaginava, con ciò che si formava nella idea alcune difficultà tanto maravigliose che con le mani, ancora che elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai.

Ilenia Carbonara per MIfacciodicultura